Un mesetto fa un amico di famiglia, grande ascoltatore di jazz, mi aveva portato questo disco dalla cover bordeaux dicendomi solo tre parole: "è una por***a". Incuriosito dal nome familiare dell'artista, ho approfondito le mie ricerche, ricordandomi chi è veramente Gary Willis ovvero l'ex bassista della fondamentale e inossidabile band "Tribal Tech" esponente massimo della fusion anni '80, miscelata al blues e al funky groove più saltellante e piacevole, ma per niente scontato.

Lo stile di Willis dichiaratamente jazz, sembra affondare le proprie radici in Jaco Pastorius, di cui si nota subito la struttura dei soli tipica del "più grande bassista che sia mai esistito". Con il suo Ibanez fretless 5 corde, Willis  ha un fingering leggero e delicato ma allo stesso tempo coinvolgente e pulito, sfornando frasi dalla grande continuità ritmica.

Il disco mostra l'influenza dei già citati Tribal Tech unita ad un'elettronica  che forse interferisce troppo con le strutture musicali dei brani. Il suono del basso in certi pezzi è fortemente sintetizzato, fino a perdere di significato, ma non per questo è un album noioso e banale. Willis suona quasi tutti gli strumenti, tranne qualche parte di batteria suonata da Kirk Covington (batterista dei Tribal) e da David Gomez. Una caratteristica di questo album è la non presenza o almeno ridotta presenza della batteria acustica  poichè è tutto prodotto con drum machine e trigger. Willis si cimenta per la prima volta con nuovi software di produzione e campionamento musicale come il Logic Pro o il WaveBurner.

"Cartoon Fetish" è pervasa da campionamenti, e presenta un sound veramente artificioso, matematico e meticoloso. Le strutture sono fortemente disintegrate e il suono delle tastiere e del basso è pesantemente distorto. Certamente un brano poco "ortodosso" per iniziare un disco.

Solo con la quarta traccia "Say Never" si giunge ad una tranquillità che spezza il ritmo frenetico e ipnotizzante del disco. Un pad di tastiere accompagna delle sognanti frasi di basso fretless, e si ha come la sensazione che questo pezzo  non sia di questo album. Nei fraseggi il basso è dichiaratamente Pastorius ma senza mai perdere la vena nell'indulgiare sulle note tipica di Willis, le dinamiche ricordano molto lontanamente il Metheny. Forse il brano più gradevole e ascoltabile dell'album.

"Eye Candy" inizia con intricanti tempi dispari che aiutano il basso a sviluppare delle velocissime e fuggenti frasi,che grazie ai continui stop, rendono la struttura quasi "improvvisata". Il pezzo continua con un incessante groove molto gradevole, costruito sui dialoghi tra batteria e il basso. Per fortuna in questo brano la batteria non è triggerata ma suonata al naturale Covington (e si sente la differenza).

L'imprevedibili e lunga "Mean Streak" è dichiaratamente fusion, non esagera mai nella componente campionata, ma ha un mood abbastanza sostenuto e non troppo complicato da assimilare.

In "Tio Loco" il suono del basso è molto rotondo, dalla timbrica scura e dal fraseggio saltellante e con molte ghost note. Un pezzo ricco del solito groove, ma niente di veramente nuovo.

"Based on a true story" ha un atmosfera quasi infernale pur presentando un ritmo lento ma molto ossessivo e penetrante e chiude il disco in maniera singolare.

Sicuramente non è un disco perfettamente riuscito, e non segna un cambio di rotta nei meandri della nuova fusion, ma certamente da ascoltare e da comprendere poiché si tratta sempre di Gary Willis. A volte sciogliere un gruppo come quello dei Tribal Tech può portare a rispettabilissime carriere di session-man come a quella di Scott Henderson (collaboratore di Victor Wooten, del defunto Joe Zawinul R.I.P. e della Chick Corea Electric Band) che ha sfornato gustosi dischi molto influenzati dal blues, fino  a carriere solistiche come quella di Willis sicuramente ricca dal punto di vista delle celebrazioni e delle clinics e dell'ambito didattico, ma scarso nei contenuti delle sue produzioni nella quale si accontenta e cede alle grinfie di una mera elettronica.

 

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