Quest'album rappresenta una freccia scagliata al cielo, una battaglia fitta ed ambiziosa che sicuramente ha dato i suoi frutti.
Gato Barbieri è un sassofonista argentino che, partendo dalla matrice coltraniana, allarga la sfera della sua creatività per dar luogo ad un magma intenso e brillante, che nel caos riesce a stabilire e far valere la propria legge. "Bolivia" e "Under Fire" sono gli album che più marcatamente hanno decretato l'evoluzione stilistica di un grande artista: la creazione di un vero e proprio genere mutuato dai ritmi nativi del Sud America, dall'alta tradizione jazzistica, e dalla componente personale ed originale che marchia a fuoco la musica di Gato.
I due album, ("Bolivia" del 1973, "Under Fire" del 1971), saranno uniti in seguito in un unico cd. Scelta saggia e felice, considerando la compattezza delle composizioni e le numerose analogie - anche sonore - che si riscontrano tra i due album. La line up è eloquente, e in particolare sono da ricordare: Lonnie Liston Smith per quanto riguarda il piano, alla chitarra un giovane (ma più che promettente) John Abercrombie, Stanley Clarke al basso, e Airto Moreira, batteria e percussioni.
Di Bolivia fanno parte le prime cinque composizioni. Si parte con la ternaria ed incalzante "Merceditas", un grido continuo, lungo e meravigliosamente carico di melodia; le pulsioni della sezione ritmica (indovinatissima la linea di basso) supportano con decisione e fermezza la bellissima voce del sax del Barbieri, che si ripropone sempre nuova, fresca e mai ripetitiva in più di 9 minuti. Belli gli assoli dello Smith.
Le composizioni il più delle volte sono suddivise nella "primera" e "segunda" parte: un'alternative track integrata all'originale, un sempre continuo movimento e rinnovamento.
In "Eclypse Michellina" questo movimento dinamico è estremizzato: da una semplice e rilassante rumba, si arriva alla seconda parte del brano, che d'un tratto diviene cupo, tensivo e sospeso. Segue la bellissima "Bolivia", che sembra rievocare paradisi lontani ed ancestrali, alternando melodia, dolcezza, tensione, rumore, urla, per poi rassenerarsi definitivamente; così come nella selvaggia "Ninos" confluiscono l'impeto e la violenza delle percussioni ad imitazione della potenza -anche- devastante della natura. E come la quiete dopo la tempesta, appare "Vidala Triste", dove in una sorta di cantilena il nostro Gato ci regala la sua voce e quella del suo flauto.
Bolivia è la narrazione della natura: il rovesciarsi improvviso di equilibri su cui l'uomo aveva ben ancorato le sue gambe (in questo caso l'orecchio); la totale mancanza di prevedibilità e di staticità fanno di questo album una fedele (e suggerirei filosofica) rappresentazione del mondo naturale, delle analogie che l'uomo, per suo vizio, non riesce più a cogliere.
Se Bolivia rappresenta il mondo selvaggio e primordiale, Under Fire sembra descrivere perfettamente l'uomo, la sua integrazione con il mondo e la natura, come ci spiega in "El Parana": le scarne e secche chitarre che vedevano accompagnare il discorso melodico in Bolivia, ora sono sostituite da toni più ricercati, più "contaminati" (l'uso del wah wah è esemplare e funzionalissimo) della chitarra elettrica dell'Abercrombie. Gli elementi precedentemente utilizzati in Bolivia ora creano una strana tensione, morbosa, ipnotica.
Le successive "Yo El Canto A La Luna" e "Antonico" sono due ballad di incredibile bellezza e raffinatezza: la prima una canzone popolare argentina, la seconda una bossa. Le ultime due track, "Maria Domingas" e "El Sertao", sembrano congiungere i due mondi, i due album: alla ricercatezza di nuove armonie (più "umanizzate") sono fuse ritmiche allo stato brado, e il tutto cancella quella cupa tensione, per risplendere in tutta la sua bellezza.
Bolivia/Under Fire è un concetto. Narra della forza della natura, di quella malsana dell'uomo, ma anche del bene che può essere creato dall'uomo stesso. Ci riserva per ultima una possibilità, una speranza che ancora non muore.
Ovviamente parliamo degli anni '70, dell'impegno soprattutto ideologico (e Gato ne è un gran maestro) che marcava i luoghi della musica e delle arti.
Capolavori come questo hanno dato un gran contributo alla musica, ma soprattutto all'umanità.
Album quindi consigliatissimo, di non difficile ascolto ma di facili emozioni.
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