Si parte con la "Cancion del Llamero": una melodia semplice, popolare, ma così emozionante ed evocativa, che subito si capisce l'intento del nostro: un album che sfrutta i mezzi espressivi jazzistici per raggiungere uno scopo che esula dal linguaggio utilizzato, una sorta di manifesto universale del terzo mondo. Non a caso i brani scelti fanno parte del repertorio della musica brasiliana (Zelao, Bachianas Brasileiras), ma anche di quello sudafricano (Haleo And The Wild Roses). È tuttavia in Tango di Astor Piazolla che si comprende quale sarà l'umore che pervade l'intero album ed il modo in cui Barbieri tratterà i temi trasformandoli inesorabilmente. Mentre il contrabbasso pulsa con precisione ed il piano disegna arpeggi cristallini, il tema viene esposto con passione, in un crescendo emotivo denso e sofferto. Il sax di Gato ruggisce e si dimena, non segue più accordi o scale: viaggia in bilico sulla sottile linea che divide le esperienze d'avanguardia del free jazz con l'influenza coltraniana di dischi come "A love supreme" o "Ascension".
Il suono si fa puro pathos, eccessivo, quasi insostenibile
. Trasfigurato, violentato per raccontare le violenze di un popolo, idealmente carico dell'urlo dei miliardi di sfruttati del mondo intero. Questo è un disco che non fa sconti, un disco difficile, ma incredibilmente intenso.

Da non sottovalutare l'apporto dei musicisti che accompagnano Barbieri in questo progetto: il basso di Charlie Haden, il piano di Lonnie Smith Jr. , come anche le percussioni e gli interventi del trombone creano un tappeto ritmico e melodico perfetto, contribuendo in maniera determinante al raggiungimento della tensione parossistica che esplode dalle note del leader.

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