Non chiedo clemenza per questa recensione. Non per presunzione (non saprei da dove prenderla e su cosa poggiarla). Mi assumo la piena responsabilità. E’ la recensione che avrei voluto, che mi sarebbe servita nel peregrinare musicale, come un sasso mancante tra una riva e l’altra del ruscello… che poi non so neanche dove siano le sponde. Digressioni (inutili?)

Non è semplice post rock.

I Gatto ciliegia colorano di tinte diverse. Diverse anche le pennellate. Potrebbero sembrare i Sigur Ros se fossero cresciuti per le strade e le piazzette di qualcuna delle nostre città.

Due fratelli gemelli divisi alla nascita e cresciuti con madri diverse. Sotto altri soli. Uno a sbucciarsi le ginocchia dietro ad un pallone, un altro su prati immensi che non sai dove finiscono. Tutti e due tesi però verso un orizzonte. Se qualcuno diceva che il loro successivo "l’Irreparable", non era cosa imprescindibile, questo lavoro potrebbe esserlo nella ricomposizione di un percorso musicale del tutto astratto però.
Una roccia, un appoggio come già detto, per passare su un fiumiciattolo in una passeggiata senza meta. Le atmosfere qui sono più rarefatte del successivo disco. Più intime. Tastiere, chitarre elettriche e acustiche (soprattutto) che si intrecciano in arpeggi leggeri, quasi in dissolvenza. Descrivere un’atmosfera non è facile, ed è quello che musicalmente ha fatto il trio torinese mescolando con moderazione e sapienza melodie e “condimenti” tanto che non si sa più quale sia uno e quale l’altro e tutto diventa esenziale al convogliamento di una sensazione.

Una ricetta non segreta ma per tutti i commensali. Ogni brano è un racconto a se, ben amalgamato e che si racconta. Nel disco si respira aria di casa, squarci di vita comune, inquietudini comuni. (Solo a fine stesura ho letto che il cd è stato ideato e registrato in casa). Ogni traccia è altamente evocativa ed anzi, ci vengono in aiuto i titoli a far ordine in un flusso di immagine che subissa l’ascolto di ricordi. Una malinconia in grado anche di farti sorridere se si è l’ascoltatore, più inquietante se si è il narratore.

Non l’ho letto, ma lo immagino registrato, pensato, inventato in quel caldo risveglio di maggio che qui da noi ha poesia e profuma di quel profumo che ti mette il sorriso Sunset trip.

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