Nella tormentata vicenda artistica di Gene Clark, "No Other" occupa il ruolo di successore del capolavoro "White Light". Inutile dare un seguito che inseguisse la perfezione di un album del genere, a maggior ragione per un artista di tale calibro.
Fin dai tempi dei Byrds, Clark aveva dimostrato di saper battere strade musicali sempre nuove, pur conservando il suo inconfondibile marchio di fabbrica: delicati intrecci di voce vigorosa e soffici ghirigori di chitarra e organo.
"No Other" è una gemma sfaccettata, in grado di destreggiarsi con invidiabile naturalezza fra svariati generi. Vi sono ovviamente tracce di quel country-rock del quale Clark è universalmente annoverato tra i padri, quando fu tra i primi a fine anni 60, assieme a Gram Parsons, a ibridare lo stile bluegrass dei padri con le fresche istanze del rock più eccitante in giro. Ciò avvenne soprattutto al tempo del suo sodalizio post- Byrds col suonatore di banjo Doug Dillard: una "fantastic expedition" a base di stupefacenti intarsi di fiddle, armonica e steel guitar tanto ignorata dal grande pubblico quanto decisiva nell'evoluzione verso quello che sarebbe presto diventato il canonico country-rock.
Episodi come "The true one" e "Lady of the North" (co-firmata proprio con Dillard) confermano l'approccio unico del nostro verso il country: oltre gli steccati di genere, perno di una musica in grado di distillare il suo lirismo, avvolto da strumentalità che liberano ed enfatizzano il cantato. Un country sommesso e dirompente nella sua introspezione, capace di forgiare proprio su "Lady of the North" un'autentica e tenebrosa seduzione visionaria ("Ah, fine lady of the North, like silver on the ocean shore"), non dissimile dal Dylan di "Nashville Skyline".
A proposito: va ricordato che nello stesso anno di uscita di "No Other", Clark reincise una versione del suo classico country-rock "Train leaves here this morning", col quale gli Eagles, facendone una cover, avevano spiccato il volo verso lo stardom, capitalizzando al meglio le intuizioni dei pionieri del genere. Tale versione è presente nella ristampa di " No other": un motivo in più per procurarsi questo cd.
Ma "No other" è soprattutto l'album più ambizioso nel catalogo di Clark, a causa dell'arzigogolata produzione di Jefferson Kaye. In alcuni frangenti si inseguono infatti ariosità quasi spectoriane, con profusione in particolare di cori gospel. Se la rapsodia di "Some misunderstanding" può risultare invero leggermente fastidiosa, pezzi come "Strenght of strings" e "From a Silver phial" crescono dopo pochi ascolti. Melodie incantevoli apparentemente perse dentro la corteccia di calibratissimi arrangiamenti, nascoste per poi sbucare repentinamente, diventando rapidamente memorabili.
Il Gene Clark che più amiamo però è quello scarno e concreto, in grado di esaltare quella voce potente e virile, diventata strumento: semplicemente cantata. "Life's greatest fool" e "No Other" sono in tal senso prodigiose, mentre "Silver raven" è dilatata verso figure free che incantano per purezza e armonia, grazie anche a un testo che come sempre cattura il senso di disillusa comprensione verso la caducità delle cose, evitando mirabilmente le secche dell'autoindulgenza e della retorica.
Come i suoi predecessori, anche questa raccolta di semplicissime, grandi canzoni rimase ignorata dal grande pubblico, trascinando definitivamente il suo autore verso l'oblio.
In un mondo migliore, Gene Clark sarebbe stato alle porte del pantheon dei dioscuri, Dylan e Young. Ma in fondo, come cantava tra questi solchi lo stesso Gene "Children laugh and run away / While others look into the darkness of the day /Some streets are easy while some are cruel /Could these be reasons why man is life's greatest fool".
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