Il rock è passato di qui. Che qualcosa stesse cambiando lo si era già capito nel 1953 quando un giovane e strafottente Bill Haley aveva trascinato in pista le nuove generazioni, e aveva gelato il sangue ai puristi bigotti, con la celeberrima "Rock around the clock".

E l'esordio discografico di Elvis Presley, targato 1955 (si trattava di un modestissimo brano intitolato "My happiness") era il segnale netto e limpidissimo di una trasformazione musicale rivoluzionaria e, in parte, scioccante. Rivoluzione che avrà come proprio perno principale il leggendario (e oggi poco conosciuto) Gene Vincent.

Vincent Eugene Craddock (1936-1971), in arte Gene Vincent, nasce a Norflok, nel cuore di un America aspra e selvaggia. A vent'anni è già un mezzo genio: aiutato da una band eccezionale e sopraffina (Cliff Gallup chitarra, Willie Williams chitarra ritmica, Dickie Harrell batteria, Jack Neal contrabbasso) riesce, giovanissimo, ad approdare alla Capitol, gloriosa casa di produzione in quel momento in cerca di un artista che possa fungere da concorrente dell'emergente, ma già famoso, Elvis Presley. La fortuna tende la mano a Vincent: la Capitol li scrittura immediatamente e la band si chiamerà, almeno per i primissimi anni, Gene Vincent and his Blue Caps. Come primo brano incidono "Be Bop a Lula", pezzo leggendario ed epocale, ritmatissimo e frenetico, vero caposaldo dell'intera musica rock americana. Si tratta di una sorta di filastrocca senza un senso apparente (il termine "Be Bop a Lula", tecnicamente, non significa pressochè nulla) ma possiede un ritmo e una vivacità incredibile e clamorosa, basti pensare che l'apporto strumentale è pressochè nullo (batteria, chitarra, contrabbasso).

Gene Vincent, il cantante dalla voce "angelica", canta in maniera leggiadra e sorprendente questo eterno capolavoro pionieristico e, perchè no?, avanguardistico. Oltre a "Be Bop a Lula" Gene Vincent and his Blue Caps incide anche la bellissima "Woman love", ballata struggente e apocalittica. I due brani salgono immediatamente in classifica e Gene Vincent ottiene una consacrazione definitiva e meritatissima. Eppure, questo simpatico giovanotto dall'aria svagata e apparentemente superficiale non è mai stato un ragazzo facile e tranquillo: un terribile incidente motociclistico, causato da un fatale errore di guida, ebbe per Vincent conseguenze serie e gravissime, quali la frattura totale della caviglia sinistra. La ferita non guarirà mai e Vincent, nel corso degli anni, sarà costretto a sottoporsi a innumerevoli interventi chirurgici tanto da doversi curare attraverso l'utilizzo di droghe e attraverso un sostegno metallico poggiato attorno alla caviglia. Involontariamente, questo particolare aggeggio artificiale porterà Gene Vincent ad assumere una caratteristica presenza scenica (gamba leggermente divaricata) che vanterà, con il passare degli anni, decine di migliaia di imitazioni.

Il primo album della Gene Vincent and his Blue Caps non è forse l'album più curato a livello musicale ma è indubbiamente il più efficace a livello comunicativo. Oltre alla già citata "Be Bop a Lula" degne di nota sono anche "Race with the devil", "Up a lazy river" e "Peg O' my heart". Curiosa, e in parte riuscita, rivisitazione musicale: Gene Vincent recupera alcuni vecchi rock americani di inizio anni Cinquanta (tutti compresi fra il 1952 e il 1955) e li cesella secondo le proprie personalissime inclinazioni musicali. Brani destinati all'oblio come "Bluejan Bop" e "Bop Street" ritornano prepotentemente alla ribalta e riacquistano nuova linfa e nuova vitalità. "Bluejan Bop" è un album storico e insieme sorprendente, storico e dunque fondamentale.

Nonostante sia un album di quasi cinquant'anni fa (e proprio quest'anno compie il 50° anno d'età) è abbastanza semplice scovarlo in qualche negozietto: la EMI lo ha rieditato, in versione pulita e rimasterizzata, nella primavera del 1998 aggiungendo all'originale sei bonus track gustosi e raffinati. Il prezzo poi, è assolutamente conveniente.

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