Quando nel 1993 Phil Collins abbandonò il cadavere in decomposizione che da troppo tempo usurpava il glorioso nome dei Genesis, fu opinione quasi comune che la tomba fosse sul punto di essere chiusa. Tuttavia, il cadavere divenne zombie grazie all'opera di magia nera operata dal sympatico due Tony Banks-Mike Rutherford. I due ingaggiarono Ray Wilson (chi è costui?) alla voce e decisero di far uscire, nel 1997, Calling All Stations", un pessimo disco che fa sembrare capolavoro anche il solo "Abacab". Il disco, che dovrebbe essere un ritorno al rock, ma che è in realtà un'accozzaglia demenziale di suoni che definire pop di pessima fattura sarebbe come dirne elogi, si articola attraverso 11 canzoni, quasi tutte scritte da Rutherford e Banks.
La prima traccia è la title-track, che sa soltanto regalare qualche buona atmosfera qua e là, ma, come tutto il disco, fa generalmente da ninna nanna. Proseguendo troviamo i singoli "Congo" e "Shipwreked"; la prima è veramente brutta, arricchita (???) da tamburi africani e cori etnici che non fanno alcun effetto, mentre la seconda è l'unica canzone che mostra quasi decenza, pur sempre rimanendo nell'ambito pop. "Alien Afternoon" è lunga, ma non si salva per niente, e da qui saltiamo fino all'ultima traccia (l'unica che è quasi degna di essere commentata oltre alle sopra dette), che dura ben 8 minuti, ma che si rivela decisamente orrenda, nonostante una fine abbastanza semi-coinvolgente.
Per dirla breve, "Calling All Stations" è un modo tragico per terminare la pluridecennale carriera di un gruppo che, prima di contribuire alla sua eliminazione, ha molto dato al progressive.
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