Molte delle opere nei 70' furono realizzate con l'intento di descrivere le paure e le angosce della gente di quel tempo di fronte a morte, follia, e cosucce del genere. I Pink Floyd, con tutta la solarità che avevano in animo, non si fecero scappare l'occasione di fare un lavoro analitico in questo ambito. Puntarono su alcune tra le principali paure/ossessioni umane e ad ognuna dedicarono un pezzo del loro album ‘Dark Side ...'. Lo steso Gabriel, più tardi e a modo suo, fece in III un lavoro altrettanto analitico con le varie forme di follia e la paura ad esse collegata. C'è chi sostiene, e mi trova dalla sua parte, che anche i Genesis vollero rappresentare l'inquietudine della loro generazione di fronte a queste paure. Lo fecero con questo album, ma non attraverso un lavoro analitico, bensì alla maniera, mattiamola così, in cui gli impressionisti esprimevano il loro messaggio attraverso i colori (rubo il paragone da ondarock perché esprime bene quello che voglio dire). Questa ipotesi è il punto di partenza del mio personalissimo discorso sul disco.
Accordatisi sul progetto, i cinque annunciatori di false apocalissi dovettero ritenere che occorreva ad ogni costo togliere la terra sotto i piedi all'ascoltatore. Per la causa il tastierista factotum mise a disposizione le sue agili dita e il suo arsenale da combattimento e il risultato fu un tappeto di "pura ansia" (e qui rubo ancora accidenti a me, questa volta da una vecchissima recensione, non mi è venuta una definizione migliore) base su cui vennero costruite tutte le canzoni.
Il cantante capì che la prima cosa che doveva fare era mettere gli altri quattro davanti alla realtà: solo lui aveva la mente adeguatamente malata per partorire un racconto e dei testi all'altezza dell'intento che si erano preposti, e quindi doveva far da solo. Li convinse e si mise volentieri all'opera con ancora vivo il ricordo di un film intitolato ‘El Topo', prodotto di una mente disturbata quanto la sua. Partorì così il racconto di un viaggio (quello del noto writer portoricano) con un'evoluzione in bilico tra lo sviluppo di una trama come si conviene ed il sogno. Non si tratta però di sogno fiabesco o romantico, ma di quello che si fa la notte, cioè un'accozzaglia di situazioni assurda e con poco senso.
Lo strumento della fiaba gli è tornato ancora una volta utile, ma in modo diverso che in passato. Niente più quadri visionari a se stanti, niente più battaglie tra bene e male, niente metafore e giochi di parole con l'intento di criticare la povera Inghilterra, aveva già minacciato una volta di volerla vendere e gli parve fosse sufficiente.
Sbaglia secondo me chi cerca quel che han da dire i Genesis con questo album nella morale del racconto o nel significato dei testi. Ho proposto inizialmente di pensare a the Lamb come a un quadro in cui la rappresentazione del soggetto avviene attraverso il gioco dei colori. Qui i colori utilizzati sono le suggestioni e il racconto serve quindi a crearne in aggiunta a quelle create dalla musica, non a comunicare un messaggio. L'altra ipotesi da cui parto è che il soggetto che vollero rappresentare è lo stato d'animo della loro generazione, e allora la sconclusionatezza del viaggio raccontato ha probabilmente lo scopo di trasmettere all'ascoltatore l'inquietudine di fronte all'ignoto e la caduta delle certezze, parte di quello stato d'animo.
Al coro di voci che in seguito definirono nebuloso il lavoro di Gabriel si è aggiunta col tempo anche quella di Banks. La musica dimostra invece che durante la lavorazione del disco aveva le idee chiare e ben il linea con il suo cantante. Ma gli sono grato per troppe cose, su tutte l'assolo di ‘In the Cage', per dare importanza a questi suoi comportamenti da suocera acidella.
Sotto l'aspetto strettamente musicale non ho praticamente niente da aggiungere alle analisi svolte nelle altre recensioni. Faccio solo un osservazione sull'uso del basso. Per una volta si rivela un elemento fortemente caratterizzante del suono. Ci sono finalmente delle gran belle linee in questo album (quella della title track la mia preferita). Devo aver letto da qualche parte che Rutherford ci mise dentro anche un bel po' di accordi. Il suono è molto aggressivo, e l'utilizzo del Rickenbacher e del plettro spiegherebbero questo fatto. Quel che so per certo è che Pluto utilizzò effettivamente questo basso nel tour, assieme ad una altro double neck, un Micro-Frets, non ho idea di che suono abbia.
Strano bassista Rutherford: gran pestatore di pedaliere moog taurus fino a the Lamb, e le dita quasi sempre incollate a delle dodici corde, e per il resto della carriera un trionfo di double neck. Il basso più convenzionale che gli ho visto in mano è proprio il Rick, per il resto modelli poco distanti dall'artigianale: il succitato Micro-Frets, l'esteticamente pregevole Shergold (a livello sonoro non ho idea), il plasticoso Steinberger, per arrivare a quello strumento mutante del tour 2007 fusione di chitarra Gibson e basso Yamaha. Mai un Jazz o un Precision che io sappia.
Proprio nel periodo in cui crearono quello che secondo me è la loro opera più bella, i Genesis si macchiarono di una grave colpa di fronte al mondo della musica. Diedero poco spazio al loro particolarissimo chitarrista. Pochini i gioiellini di sua fattura all'interno dell'album: Cuckoo Cocoon, il cuore rasato, l'arrivo dell'Anestetista Supernaturale, e la nippon introduzione, un po' cacacazz a dir la verità, di Colony of Slippermen. Un magro bottino insomma, anche se l'Anestetista è tra i pezzi più belli dei Genesis per me.
L'album venne fuori in un periodo caratterizzato da un bel po' di contrasti all'interno della band. I fatti sono arcinoti a chi conosce i Genesis, che ne sa forse di più di quanto gli stessi membri del gruppo ricordino. Per chi invece non ne sapesse nulla e fosse interessato ad avere lumi a riguardo, potrà trovare valanghe di informazioni un po' ovunque, su questo sito e altrove, tranne qua.
Bellissima la copertina dello studio Hipgnosis.
E dopo questo pippone senza senso faccio un caro saluto a chi è arrivato fino a qui senza mandarmici neanche una volta.
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