Nebbia: oggi ripesco i Geneva. Due dischi partoriti: "Further" (1997) e "Weather Underground" (2000). Il primo esalta la critica, in piena ubriacatura brit-pop; la stampa inglese lo inserisce tra i dieci migliori dischi di debutto del 1997; NME vota "Tranquillizer" singolo dell'anno. Il secondo, dopo tre anni di attese, la deprime. Cala il sipario. I Geneva, zitti zitti, si sciolgono, e buonanotte al secchio: tracce perse.

Sarebbe il caso di mettere una pietra sopra a questa band scozzese che brillò per un brevissimo periodo, che fu voluta al proprio seguito da Suede e Bluetones, che si arrese dopo un disco tutt'altro che brutto, che ha prodotto recentemente un clone impressionante e poco riuscito (i Delays) e che nessuno (?) più ricorda. Sarebbe proprio il caso di metterla. Se non fosse, porca miseria, che questo disco, ripreso in mano dopo quasi una decina d'anni, impressiona. Brit-pop, sì, ma forse no. E se sì, svolto in una declinazione intimistica e schiva, più vicina ai Radiohead di "The Bends" e soprattutto ai primi Suede.

Il clima dell'album è ben rappresentato dalla bella copertina: è un rock melodico nebbioso, infreddolito, crepuscolare. Le chitarre procedono per lo più per arpeggi: spingono raramente. Qualche tastiera copre i vuoti, ma sempre dietro la nebbia di chitarre, senza mai bucarla. Una sola cosa, come quell'albero spoglio, si staglia sul resto, ed è la voce (magnifica) di Andrew Montgomery. Quanto vorrei risentirla ancora, questa voce, dio solo lo sa. E invece resta sepolta in questi pezzi di inverno, di terra fredda ricoperta di brina, scaldata soffiando, invano, da quel suo tono ermafrodito: un tono vastissimo, capace di trovare note ignote, perlustrando lo sfondo di strumenti brumosi, capace di portare in primo piano melodie cupe e aguzze, che pungono il profilo dei brani tracciando linee quasi gotiche. Sentitevi "Worry Beads", un pezzo che sarebbe benissimo potuto uscire dai primi Radiohead: un suono ovattato, spento, con chitarre che (qui) sono corpose e piene, ma che a tratti tacciono e lasciano il campo ad un'aridità spoglia, che la voce di Montgomery riempie di aloni, come soffiando ad un vetro di finestra. "Tranquillizer" è il pezzo che diede quel pizzico di notorietà ai Geneva: le tastiere archeggianti sostengono le chitarre, la melodia è deliziosa, e ne esce un brano sontuoso.

I ritmi non sono mai alti. Si tratta per lo più di canzoni mid-tempo, quasi tutte notevoli (sulle altre "Temporary Wings", "Best Regrets", "No-one speaks"); non ci sono ballate, perché i pezzi lenti controbilanciano con chitarre più insistite e accordi minori, preferendo per lo più alla dolcezza e al calore (che pure non manca: piacevole "Fall Apart Button") un'atmosfera scura e sfocata. La chiusura, in particolare ("In the Years Remaining"), è una lunga litania, dal testo profondamente desolato e agghiacciante, con la voce di Montgomery effettata, e con una coda in crescendo, che sfoga rabbiosa l'enumerazione sconsolata delle stagioni a venire con cui si chiude il cantato (stagioni significativamente limitate a due: "Autumn Winter Autumn Winter"). Insomma, è pop-rock, con strutture regolari, ritornelli al proprio posto, senza nessuna forzatura, ma con un'impronta personale che riesce a renderlo distinguibile da tutte le mille derivazioni possibili. Come quell'albero, spoglio, stagliato nella nebbia.

Come al termine dei film tratti da una storia vera, dovrei finire con un po' di fredda cronaca: oggi Montgomery, dopo aver formato e sformato un gruppo a base statunitense chiamato Amityville, canta in un duo di nome St Famous; due membri hanno formato i 69CORP; gli altri membri (probabilmente) hanno dato vita a qualche altra band localmente nota e si ubriacano ogni sera ai tavoli in legno di fumosi pub scozzesi di provincia; di questo disco rimane qualche sparsa copia nei magazzini polverosi della Nude; il nome Geneva non evoca nient'altro che una (nebbiosa?) città svizzera situata nei pressi di un lago.

Si capisce che non è una storia finita bene, e viene un po' di tristezza: per fortuna, ogni tanto, magari d'inverno, posso ripescare "Further" e immaginarmi, nella nebbia, una storia diversa.

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