Se gli americani fossero coerenti, dovrebbero bombardare i Genocide Organ in quanto detentori di mezzi di distruzione di massa. O in quanto essi stessi armi di distruzione di massa.

Autentici artisti canaglia, i Genocide Organ rappresentano da più di vent'anni (muovono i primi passi nel lontano 1986!) l'esempio più vivido di quello che possiamo intendere con l'etichetta di power-noise, territorio oscuro dove l'originaria tradizione industriale di Throbbing Gristle, Cabaret Voltaire e White House confluisce nell'elettronica da bombardamento di NoN e Merzbow: i Genocide Organ circoscrivono nel tracciato di un insanguinato filo spinato una folla di umanoidi esaltati innanzi al comizio furibondo di un dittatore sanguinario, mentre le bombe cadono dal cielo, le macerie ingombrano le strade e i cadaveri pendono martoriati dai tralicci della luce.

":Remember:" racconta la storia del seminale combo tedesco raccogliendo ben 27 tracce dal vivo selezionate da un pugno di performance svoltesi fra il 1989 e il 2000: un doppio live antologico dalla durata mastodontica (quasi 2 ore e mezzo!) per descrivere cosa significhi essere terroristi del suono.

Bassi micidiali, droni stridenti, ritmiche pressoché azzerate: salvo gli scricchiolanti monologhi campionati che fungono da intermezzi, la musica dei Genicide Organ è un Niagara di suoni al vetriolo in cui le stratificazioni sonore si sovrappongono generando crescendo dissonanti dalla tensione insopportabile per mente ed orecchie. L'irruenza declamatoria delle voci deformate completa il quadro: soliloqui nel caos, urla becere amplificate da megafoni arrugginiti che si sgretolano contro la violenza della parole, mentre fumogeni annebbiano la vista e manganelli spaccano le teste.

Additati di volta in volta come estremisti di destra, estremisti di sinistra, razzisti, guerrafondai, istigatori all'odio, i Genocide Organ rappresentano in realtà un progetto coerente: la trasposizione fedele della merda del mondo, non-musica "constatativa" che si pone al di fuori di ogni connotazione ideologica. Gli stessi protagonisti, poco avvezzi a fornire spiegazioni, preferiscono crogiolarsi nell'ambiguità: "Non abbiamo mai detto che pensiamo, e non crediamo mai a quello che diciamo, e se per sbaglio ci capita di dire la verità, la seppelliamo fra così tante falsità che alla fine è difficile riconoscerla."

O anche: "Tutto è come è, e niente è come dovrebbe essere."  

Molta provocazione, quindi, alla base della proposta dei Genocide Organ (e come potrebbe essere altrimenti?, l'industrial non nasce proprio per rompere gli schemi, destabilizzare le menti e spingere tutto oltre il limite dell'umana decenza?).

E se i Genocide Organ non prendono dichiaratamente una posizione, è la loro musica a prenderla per loro: la loro di fatto diviene un'opera di rappresentazione, dove i fatti parlano da soli, senza bisogno che vi sia un mediatore che ne veicoli i contenuti. La tesi di fondo sta quindi solamente nella selezione delle fonti da cui attingere e a cui ispirarsi, a livello lirico come a livello iconografico (e chi ha avuto la sfortuna di subirli dal vivo lo sa): atrocità, torture, guerre, devastazioni, genocidi, un filo rosso che attraversa tutti gli angoli del globo, dai regimi totalitari del novecento alle presunte democrazie di oggi. Ed è in questa calcolata equidistanza da destra e da sinistra, in questo far perno sul nucleo marcio della natura umana, a rendere veramente terribili i Genocide Organ, testimoni e divulgatori di un qualcosa che sopravvive alle peculiarità delle diverse società e culture, e delle varie fasi della storia.

"Dogday", "Patria y Libertad", "Vive la Guerre", "Und sie Hatten Noch die Frechheit zu Weinen", "Klaus Barbie", "Hail Amerika", "Klan Kountry" "Cause Conflict" ci parlano in tutte le lingue dello stesso odio, della stessa brutalità, della stessa sopraffazione dell'uomo sull'uomo.

Lungi da ogni volontà di assecondare e legittimare i bassi istinti che permeano la natura umana, i Genocide Organ sono una triste orchestra che bandisce ogni ipocrisia e sbatte in faccia quello che cerchiamo di reprimere nell'inconscio collettivo, escludendo (a ragione o a torto) ogni possibilità teorica di assoluta redenzione, di totale emancipazione della specie umana dalla sua bestialità.

O che in realtà il tutto si tratti di una cinica critica al sistema?

Anche questa è un'ipotesi fra le altre. Irrilevante come le altre.

Per questo ":Remember:", per quanto notevole, non è l'album che consumerete allegramente lungo la strada della vostra colorata esistenza; piuttosto sarà esso a consumare voi.  

":Remember:" è l'album da ascoltare una volta all'anno: è naturale che in quell'unica volta dovrete essere pronti ad affrontare il peggio, ma se vi troverete nella giusta disposizione di animo e di orecchie (e con l'insana voglia di buttare lo stereo nel cesso!), quali sublimi visioni scaturiranno dalla vostra mente spezzata!

5 stelle per l'intransigenza. 4 stelle per il rispetto che dobbiamo alle nostre orecchie, che in fin dei conti, anche loro, ci servono a qualcosa, e per questo vanno sacrificate con un minimo di cognizione di causa.

Ma in questo caso direi che ne vale proprio la pena.

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