Pochi gruppi musicali degli anni 70 sono riusciti ad incarnare così bene lo spirito e l'anima di quel sublime movimento denominato Progressive Rock. Indubbiamente i Gentle Giant possono vantarsi di essere stati prog al 100%, come quasi nessuna altra band, dall’inizio alla fine della loro carriera, chiusasi nel 1980 per motivi di coerenza, poiché riluttanti all’idea di virare verso altri generi musicali pur di rimanere ancora nella sfera d’interesse del pubblico. Loro del progressive ne sono il manifesto, tanto che il disegno del Gigante appare su quasi tutte le copertine dei pochi libri che trattano l’argomento.
Ma i Gentle Giant suonano jazz? Suonano musica folkloristico-medioevale? Suonano rock barocco? Suonano musica sperimentale? Sì e no: le contaminazioni sono molteplici, ma non si mischiano, bensì si sfumano l’una nell’altra, a formare ciò che rende unico lo stile e il sound dei Gentle Giant. I ritmi si alternano spesso dispari, la musica è melodica al massimo, l’ascolto risulta non facile all’orecchio non avvezzo a queste caratteristiche. E’ solo questione di capire la musica e comprenderne il grande lavoro compositivo compiuto da musicisti di questo calibro, tecnicamente fra i migliori mai apparsi su questo pianeta. Sono tutti polistrumentisti e la band ha fatto uso di oltre 30 strumenti musicali diversi, sia in studio che dal vivo: chitarre elettriche, chitarra 12 corde, basso, batteria, svariati tipi di percussioni, organo, pianoforte, clavicembalo, spinetta, clarinetto, sintetizzatori vari, violino, violoncello, tromba, sax tenore e soprano, vibrafono e persino un strumento inventato da loro, lo Shulberry, una sorta di chitarra a percussione, suonata ad esempio nell’intro di Playing The Game, sul disco The Power And The Glory. Un gruppo fuori dal comune dunque, in cui cinque componenti su sei cantavano. Proprio uno dei cantanti, Phil Shulmann, quello dalla voce eterea e vellutata, decide di lasciare la band dopo aver concluso il tour di Octopus. Le tournee lo stancano e Phil preferisce la vita con la sua famiglia a casa. Ma i due fratelli Derek e Ray non si perdono certo d’animo perché la formazione è oramai solida con il batterista John Weathers oramai ben integrato nella band (mai notato la sua somiglianza con il logo gigante buono dei GG?) e con Kerry Minnear e Gary Green sempre in grande spolvero.
In A Glass House vede la luce nel 1973, un album superbo che ottimamente rappresenta un degno seguito di Octopus. Vetri che si infrangono e ritmi complicati aprono The Runaway, con flauti, cori e vibrafono negli intermezzi e la chitarra di Gary Green in evidenza. An Inmates Lullaby è una ninna nanna progressiva molto particolare e orecchiabile. Molto più ritmo e velocità in Way Of Life con stacchi virtuosi e numerosi cambi di tema. Experience parte con musica quasi barocca cantata dal tastierista Kerry Minnear, per poi giungere a quel bellissimo stacco di basso su cui sopraggiunge la linea vocale di Derek Shulman che qui offre una prestazione notevole. Magici sono invece i violini di A Reunion, una ballata appassionata, di nuovo con la dolce voce di Kerry Minnear. La title-track chiude l’album originale e rappresenta in pieno la definizione di rock sinfonico. Bello il finale con la slide-guitar e il piccolo medley che si chiude con il vetro rotto.
Sulla versione recentemente rimasterizzata troviamo anche due tracce dal vivo: il medley The Runaway/Experience registrato a Düsseldorf nel 1976 e In A Glass House registrata a Münster nel 1974.
Un peccato davvero che una band simile nel passato non sia stata apprezzata a dovere dal pubblico, mentre la critica ne ha sempre elogiate le gesta. In Germania, Olanda e Italia hanno sempre avuto un seguito piuttosto sostanzioso e con piacere si può constatare come le nuove generazioni di fan del Progressive annoverino aprezzino i Gentle Giant, tanto che oggigiorno vendono più di quanto non abbiano fatto in passato. Sono i veri Re del Prog.
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