Torno in maniera quasi sistematica a parlare del personaggio di Don Chisciotte, come promesso qualche giorno fa. Proprio sabato, infatti ho visto questa rara trasposizione cinematografica (non eccelsa) del capolavoro del Cervantes ad opera di Georg Wilhelm Pabst che nel 1933 (con largo anticipo sulla seconda guerra mondiale) diede alla luce questo primo film in edizione sonora, onestamente senza infamia e senza lode.

Un film che è quasi un musical (tipico di quegli anni), nel senso che molti tratti sono cantati, su arie non eccelse e nemmeno particolarmente originali, su una sceneggiatura molto fedele all’originale del Cervantes ma senza la verve creativa e la forza visiva del “Don Chisciotte” trattato da Wells e recensito la volta scorsa qui.
Abbiamo anche qui l’attacco ai montoni, il torneo alla corte dei Gran Duchi, la battaglia contro i mulini a vento e tutta una serie di episodi fedeli all'originale che servono più da raccordo con le varie scene ma che poco o nulla ci raccontano della psicologia dei personaggi.

Qui però, a differenza delle altra riduzioni cinematografiche, assistiamo a due cose particolarmente interessanti: la presentazione dell’antefatto, ossia la fase precedente alla scelta di diventare Cavaliere Errante della Triste Figura da parte del protagonista (uno splendido Feodor Chaliapin, allucinato e immedesimato completamente nel ruolo) e un finale a dir poco originale e alternativo, con il rogo di tutti i libri da parte del Re, considerati la causa della metamorfosi di Don Chisciotte che da semplice studioso di storia e filosofia, decide di “passare all’azione” imbarcandosi nelle avventure spericolate e grottesche che conosciamo e che lo condurranno alla pazzia e alla morte.

Un film discreto, per molti tratti prevedibile e noioso con delle cadute di tono specie nel doppiaggio italiano (con certe influenze dialettali da parte di Sancho Panza davvero fastidiosissime) e nelle scenette al più prevedibili e scontate.
Ma la cosa più innovativa che si ricorda, come ho già detto, al di là di qualche scenetta grottesca di ben poca importanza, è certamente la scena finale del “rogo culturale”, dove tutti i libri che avevano indottrinato il Povero Chisciotte sono ritenuti responsabili della sua pazzia e che verranno appunto PUNITI con questa specie di supplizio medioevale. Un rogo da molti interpretato come “simbolico” di un certo movimento estremista che stava cominciando ad affiorare in quegli anni e che progettava proprio una sorta di “rogo” concettuale della Cultura e della Ragione per sfociare poi in quello che sarà ricordato negli anni come il Movimento Nazista, il maggior responsabile (se non l'unico) dell’inizio della Seconda Guerra Mondiale.

Un rogo però che ha un colpo di scena imprevisto nell’ultima inquadratura quando, in un montaggio a ritroso, proprio dalle ceneri si riformano intatte le pagine un libro (lo stesso del Cervantes), metafora di come nessun rogo potrà MAI cancellare il Sogno, la Poesia e la Cultura dai popoli di qualsiasi nazione; sogni o utopie che sono insiti nell’animo umano e che sono il vero motore, spesso l’unico, che ci danno il gusto del vivere appieno, con dignità e consapevolezza la vita che ci è stata donata.

Insomma: film dignitoso ma prescindibile.

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