"La fattoria degli animali" di George Orwell (1945), resta uno dei libri più letti del secolo scorso e, a distanza di diversi decenni dalla sua pubblicazione, un formidabile strumento di analisi critica del totalitarismo comunista, componendo un'ideale dittico col tardo capolavoro dello scrittore d'origine scozzese, quel "1984" tosto elevato a paradigma stesso dei rischi della società di massa e del controllo centralizzato dell'informazione da parte di un Potere volto a soverchiare l'originario valore dell'individuo.

A rendere questi due libri di sicuro interesse per lo studioso di politologia e storia, nonché per il casuale lettore di queste mie rapide osservazioni, è la personalità stessa di Orwell, intellettuale anglosassone vicino a posizioni socialdemocratiche, trovatosi ad un certo punto della sua vita a fare necessariamente i conti con il totalitarismo staliniano, inteso sia come tradimento degli ideali marxisti alla base dello storicismo che anima tanto il pensiero comunista che quello socialista, sia come subdola forma di controllo sociale che, nell'affermare la liberazione dell'Uomo dalla schiavitù della borghesia, introduceva non meno preoccupanti forme di coazione sociale ed economica: sostituendo non tanto la dittatura del capitale a quella del proletariato, ma la dittatura dell'oligarchia russa di fine ‘800 a quella di nuove oligarchie interne all'apparato partitico, con una conseguente burocratizzazione della Russia e dei paesi via via annessi al CoMeCon.

La storia narrata ne "La fattoria degli animali" - su cui concentro il mio scritto - è nota nelle sue grandi linee ai più, ed agevolmente recuperabile su altri siti: gli animali di una fattoria (la Russia di inizio ‘900) si riuniscono in una lega per seguire il messaggio di liberazione di un anziano verro (Marx-Lenin: ossia il marxismo-leninismo), che li coalizza contro il proprio fattore (lo Zar). A seguito di una rivolta (la rivoluzione del '17), capitanata dal verro Napoleone (Stalin) e dal suo sodale Palladineve (Trotzky) gli animali tutti si impadroniscono della fattoria, lavorando presso di essa per la realizzazione di un nuovo ordine economico, anche attraverso le sollecitazioni del maiale Piffero (la Pravda ed in genere tutti gli intellettuali filocomunisti): loro massimo rappresentante, ed epitome dell'animale che crede e si sacrifica per la rivoluzione è il cavallo Boxer (Stakanov, come personificazione dell'operaio russo), cui si accodano gli altri animali, tranne lo scettico asino Beniamino (simbolo degli intellettuali dissidenti, ma pavidi di fronte al Potere). Con la precisione di un orologio Orwell ci mostra come le originarie pulsioni rivoluzionarie cedano il passo alla progressiva concentrazione del potere nelle mani di Napoleone, che nel proprio delirio di onnipotenza annienta voce dissidente, si distingue anche per l'artificiosa creazione di nemici inesistenti (lo stesso compagno Palladineve), altera gli stessi principi rivoluzionari per opera di Piffero (antonomastico il motto: "tutti gli animali sono uguali, ma alcuni sono più uguali degli altri"), riduce a carne da macello chi lavora convinto in buona fede di aderire all'Idea (Boxer), entra in combutta e affari con gli stessi nemici che afferma di combattere (gli uomini, quindi l'Occidente).Lascio al cortese lettore il gusto di scoprire il beffardo epilogo della storia, facilitato dal fatto di conoscere quello della Storia (o almeno si spera, anche se i programmi dei nostri istituti scolastici, sul punto, lasciano un po' a desiderare). Ciò che più mi preme rilevare in questa sede è l'estrema abilità attraverso cui Orwell traccia la doppiezza metodologica dello stalinismo (ma, in realtà, di ogni Totalitarismo che afferma di agire per il Bene dell'Umanità, ossia di ogni totalitarismo figlio spurio del marxismo: dalla Cina maoista, alla Cambogia di Pol-Pot, passando per la Cuba castrista il Vietnam di Ho-Chi-Min fino a giungere alla Corea del Nord), contraddistinta da una consapevole alterazione del rapporto fra mezzi e fini.Dapprima, infatti, il novello dittatore impone mezzi di coazione della volontà individuale e di massificazione della società allo scopo di raggiungere le nobili finalità della propria ideologia di riferimento: con ciò, egli si garantisce in partenza una condizione di supremazia rispetto alle masse, ridotte da insieme di individui a soggetto unitario sottoposto al proprio rigido controllo; successivamente, sopprime ogni voce dissidente, ossia ogni tentativo di riportare l'Uomo e la sua libertà al centro del progetto politico; in un terzo passaggio, garantitasi anche con la violenza ed il terrore la sottoposizione della massa alle proprie finalità, altera gli stessi fini della propria azione, che passano dalla realizzazione immediata della Rivoluzione promessa alla predisposizione di una Rivoluzione futura, da realizzarsi un "medio periodo" economico non coincidente con la vita delle persone sottoposte al suo potere; infine, svuota di contenuto lo stesso messaggio Rivoluzionario, sostituendolo con prassi di potere che mirano a legittimare la nuova oligarchia come unica garante del nuovo ordine sociale. Va da sé che l'aggravante di queste tecniche di affermazione del potere è data dalla manifesta sproporzione fra fini perseguiti in astratto e realtà creata con la violenza e la sopraffazione: come a dire - ribaltando il messaggio di un grande intellettuale russo dissidente come Bulgakov - che il Comunismo stalinista equivale a "colui che vuole il Bene, ma eternamente compie il Male", sopprimendo la libertà degli individui, l'idea stessa di popolo come comunità di destino, il libero spiegamento delle forze economico-sociali nella storia e quel conflitto fra classi ed individui che, in senso eracliteo rappresenta la matrice del progresso occidentale, ossia una spinta alla continua innovazione ed al continuo ricambio intellettuale, economico, culturale.

Il messaggio di Orwell non mi sembra divenuto meno attuale  con la caduta del Muro di Berlino e la falsificazione storica dello stalinismo e del comunismo (non dello storicismo marxista, a mio sommesso parere), trattandosi - mi si scusi l'ossimoro nicciano - di un avvertimento eternamente contemporaneo: quello per cui tutti noi, compresi i più giovani, devono adeguare la propria azione morale e il proprio impegno quotidiano al principio di realtà, accettandone i limiti senza la pretesa di "rivoluzioni" che, come già ci ammonisce la fisica, compiono di regola una rotazione di 360° riportandoci all'eterno punto di partenza.

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