Se Giacinto Figlia fosse rimasto a Palermo (dopo esservi nato nel 1924) anziché emigrare ancora in fasce in America nel 1925 al seguito dei suoi, essendo figlio d'arte - il padre era un cantante lirico - probabilmente si sarebbe avviato comunque ad un'onesta carriera pianistica, anche se non sarebbe diventato certamente George Wallington, meteora del firmamento jazz e storiograficamente annoverata in quello che viene considerato il primo gruppo be bop, formato nel 1943 da un manipolo di musicisti come Byas al tenore, Roach alla batteria, Pettiford al contrabbasso, Gillespie alla tromba e, appunto, Wallington al pianoforte.

In questo suo decennio scarso di scene calcate, prima di ritrovarlo in un'apparizione speciale a Palermo negli anni '80 e, stando alle cronache del tempo, di lavorare nell'azienda di famiglia, avrà modo di firmare anche un paio di superbi classici del bop come "Lemon Drop" e "Goldchild", giusto in tempo per restare ancora della partita almeno fino alla coda degli anni '50, e con questo accattivante "Live! at Cafe Bohemia" del settembre 1955 che lo vede leader coadiuvato da un altro bel manipolo: McLean al contralto, Chambers al contrabbasso, Taylor alla batteria e Byrd alla tromba. Wallington resterà non fedele, ma fedelissimo al Verbo del be bop, noncurante dei linguaggi in divenire che cominciavano a mutuare lo stesso. La serata infatti viene a aperta da un bop al fulmicotone aperto da un cinguettio di McLean (siamo al giro di boa del mito di Bird) che non ha radici originali nel movimento, poiché si tratta di un riadattamento di "Johnny One Note", canzone scritta dalla premiata ditta Rodgers & Hart per il musical "Babes in Arms".

Ma nel corso della serata ci sarà oltremodo occasione di mettere in luce sia perizie strumentali che autoriali, elementi che cominciano a palesarsi con "Sweet Blanche" a firma del pianista siculo-americano, composizione da classico schema armonico bop che fila liscio fino alla volata successiva di "Minor March" a firma di McLean: se Wallington è fedele al Verbo, la fedeltà di McLean è ancora più spudorata, e non a caso l'introduzione di "Minor March" è parente prossima di quella di "Be Bop" mentre Wallington mette il sigillo di powelliana memoria.

Con "Bohemia After Dark" di Oscar Pettiford ed un'altra manciata di brani di questa edizione cala il sipario su questo onesto e tutto sommato rassicurante live, che non ha pretese se non quella di fare testimonianza della carriera di Giacinto Figlia da Palermo, che in quanto George Wallington a New York si è trovato, e forse non a caso, nel punto giusto al momento giusto in un passaggio epocale della storia del jazz, per poi uscirne con discrezione. E Forse non a caso neanche questa volta. 

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