Donne e jazz. Un rapporto difficile? A tutt'oggi, le musiciste jazz rappresentano un'esigua minoranza, anche se quelle che riescono ad affermarsi spesso diventano stelle di prima grandezza. Mi viene da pensare alla grande pianista, compostrice e bandleader Carla Bley, e alla più giovane Geri Allen, guarda caso pianista, compositrice e bandleader pure lei.

Come molti altri jazzisti neri della sua generazione, la Allen si è distinta nel collettivo "M-Base" capeggiato dal sassofonista Steve Coleman. Il sound di "M-Base" era molto aperto alle contaminazioni della musica nera più popolare, dal funk al soul all'hip-hop, ed incontrò un notevole successo di pubblico, diventando un fenomeno quasi trendy alla fine degli anni ottanta.

Cambiata la moda, i riflettori e l'attenzione del grande pubblico si diressero verso altri lidi, ma questo diede modo alla giovane musicista di concentrarsi maggiormente sulla ricerca e lo sviluppo di un proprio stile personale, affermandosi come una delle pianiste più influenti della sua generazione. I suoi dischi in trio vedono la partecipazione delle più quotate sezioni ritmiche: Paul Motian e Charlie Haden ("In The Year Of The Dragon"), Ron Carter e Tony Williams ("Twenty-One"), Dave Holland e Jack DeJohnette ("The Life Of A Song"). Per finire, la nostra vanta una collaborazione nientemeno che con Ornette Coleman ("Sound Museum").

Questo disco del 1996, inciso in seguito alla vincita del premio JazzPar, assegnatole in Danimarca, vede la pianista suonare dal vivo in contesti diversi, a partire dal trio con Palle Danielsson al basso ed il batterista Lenny White, per poi aggiungere il flicorno di Johnny Coles nel brano "Old Folks". Infine, le due lunghe, notevolissime suites "Smooth Attitudes" e "Some Aspects Of Water", realizzate in nonetto con l'ausilio di brillanti musicisti locali.

Lenny White, in passato inarrestabile forza percussiva dei gruppi fusion di Chick Corea e Jaco Pastorius, si ricorda di essere anche un raffinato batterista mainstream. Palle Danielsson è un bassista richiestissimo e supercollaudato, non c'è da stupirsi che il trio, fin dalle prime note dell'iniziale "Feed The Fire" marci come un treno...

L'incisione restituisce tutto il calore dell'esibizione live, con la voce suadente della Allen ad introdurre i brani e a presentare i suoi partner, ed il pubblico che non lesina applausi entusiasti. Mai come dal vivo, Geri esibisce un bellissimo sound ed una impressionante padronanza dei propri mezzi. Un virtuosismo tenuto costantemente sotto controllo da una ferrea organizzazione stilistica ed una profonda conoscenza dei suoi numi tutelari, da Bud Powell a Herbie Hancock, passando per Bill Evans.

La lunga, seducente e multiforme suite "Some Aspects Of Water" ci fa capire quanto il premio alla compositrice sia strameritato. La Allen imposta un dialogo paritetico con il nonetto, alternando gli impasti orchestrali dei fiati con momenti solistici molto intensi, ora lirici, ora fortemente ritmici. Spesso si ha l'impressione che la pianista di Detroit percorra più volte, avanti ed indietro, l'intera storia della musica afroamericana, moltiplicando citazioni ed omaggi ai grandi del passato. E compiendo il miracolo, senz'altro imputabile alla sua grande sensibilità, di far avvenire tutto in modo spontaneo e naturale.

Gran finale di nuovo in trio, con il favoloso "Skin". Oscillando tra Keith Jarrett e Ornette Coleman, la nostra gioca con il free e lo lambisce in continuazione, pur rimanendo ancorata ad una struttura riconoscibile, e fa correre a briglia sciolta la sua inesauribile fantasia improvvistativa, senza perdere nemmeno il più distratto tra i suoi ascoltatori: nove minuti scorrono in un batter d'occhio.

Non sarà semplicissimo reperire questo disco, ma sono sicuro che una sfida del genere è assolutamente all'altezza del debaseriano medio. Cercatelo, ne vale la pena.

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