Uno dei dischi più malinconicamente gradevoli degli anni minorenni di questo secolo.
Non ci vuole molto, a volerlo, a rasserenare una mente sempre troppo complicata, la mia, basta non vergognarsene troppo, e su questo sono, purtroppo o per fortuna, ormai aiutato dall’età.
Potere di certa musica, di certi toni.
Ogni tanto mi è successo negli anni, in questo secolo con i vecchi Belle & Sebastian, Sufjan Steven. Qui, i B&S, un po’ ci sono, soprattutto in Grace, con tutti i loro avi musicali.
Un pop da cameretta con venature jazz, a volte leggermente disco, un sound un po’ anni ‘80, ma di quelli che negli anni ‘80 preferivano stare ogni tanto in disparte, un po’ chiusi in se stessi, sperando di uscirne vivi.
Che dire un po’ un Christofer Cross post-adolescenziale, per la voce non proprio baritonale, un po’ un malinconico Donald Fagen, per certi suoni, incrociato con la dolcezza di gruppi come i Lotus Eaters.
Il tutto in italiano, guarda un po’ la lingua del primo Luca Carboni.
Un piccolo gioiellino, buono come sottofondo musicale per convincere le tristezze ad andare via carezzando loro dolcemente la testa, passato quasi del tutto inosservato, peccato.
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