Ieri, dopo una lunga attesa, è finalmente uscito Orchidee, il nuovo disco di Gianluca Picariello meglio conosciuto come Ghemon. Orchidee è un disco completamente suonato grazie al contributo di alcuni dei musicisti più importanti della scena italiana: Fabio Rondanini dei Calibro 35 alla batteria, Ramiro Levy dei Selton alla chitarra, Patrick Benifei dei Casino Royale al pianoforte, Enrico Gabrielli, anche lui dei Calibro 35, alle tastiere... e chi più ne ha più ne metta. Ghemon inoltre si è avvalso dell'aiuto di Marco Olivi e Tommaso Colliva, Oltre che del fidato collega ed amico Fid Mella, per la composizione e la produzione del disco.

Premessa: sono un infottato di black music. Per cui probabilmente vedrò le cose dal mio piccolo angolino e sarò ripetitivo.

Comunque...

Ghemon con Orchidee è riuscito a creare una specie di pietra miliare della musica italiana, una nuova frontiera dello hip hop, un disco dal sapore internazionale come se ne sentono davvero pochi in Italia. Il disco, del resto, è pregno di musica black, anche se la cosa che più colpisce è la sensazione sia di omogeneità, sia di originalità che si ha già al primo ascolto. I riferimenti musicali che. nel mio piccolo, spero di aver colto, sono la "groovosa" essenzialità della sezione ritmica di miti hip hop e neo soul come i The Roots, J Dilla e D'Angelo e l'eterea musicalità del soulman inglese Lewis Taylor. Ghemon è riuscito a profumare il disco con queste essenze per poi aggiungere la propria "carne" musicale e cantautoriale, frutto di un lungo percorso artistico. Non da ultimi i testi, uno dei punti di forza del Nostro: essenzialità e ricerca stilistica i due ingredienti principali del suo storytelling, il quale ha anch'esso compiuto un ulteriore evoluzione.

Il disco si apre con "Adesso Sono Qui", un vero e proprio manifesto del nuovo corso musicale di Ghemon: batteria "questloviana", basso pulsante e tastiere liquide danno al pezzo un vivo colore soul-funk che si fonde perfettamente con il flow  ed il cantato dell'artista. Attitudine funky che prosegue con "Quando Imparerò", canzone autoironica dotata di una batteria cervellotica e una metrica che gioca sul ritmo della canzone. Si prosegue con "Da Lei (con lo Scudo e la Spada)", una storia d'amore urbano. Si inizia con un bel beat "hip hop style" il quale si apre in un ritornello che lontanamente ricorda le atmosfere dei dischi di Lewis Taylor (maledetto il giorno in cui me l'hai fatto scoprire caro G.). "Fuoriluogo Ovunque" è musica soul condita da una buona dose di jazz, davvero un pezzo splendido sia musicalmente che liricamente. Il bridge è un omaggio a geni del groove quali D'Angelo e J Dilla ("squantizzata", cit.). Un certo "savoir" jazz rimane in rimane anche nelle tastiere de "Il Mostro", pezzo inquieto nel quale si racconta delle difficoltà che si incontrano nel vivere lontani da casa. Ancora una volta (cfr. chitarra) scorgo degli echi "tayloriani" qua e là, ma probabilmente questa è una mia malattia dalla quale non riesco (e non voglio) disintossicarmi. "Smetti di Parlare" è invece uno dei due brani interamente cantati dell'album, dove cantautorato e black music trovano un punto di incontro. Qui si vede tutta l'evoluzione dell'artista, una specie di punto d'arrivo da una parte e di punto di inizio d'altra, come ho già detto prima. Tanto di cappello perchè riescono davvero in pochi a farlo. Si cambia atmosfera con "Tutto Sbagliato", forse il pezzo più hip hop dell'album; sento lo spirito degli Hocus Pocus che si impossessa degli strumentista (quei "grumi" nella strofa mi fanno impazzire!), e Dj Tsura che nel finale strizza l'occhiolino ai C2C e trasforma lo scratch in poesia, mentre il testo è, a detta dello stesso Ghemon, il più socialmente impegnato del disco. "Nessuno Vale Quanto Te" è un pezzo sostanzialmente soul nel quale viene descritto l'impervio percorso musicale del nostro eroe, un pezzo che "sottolinea tutta la fatica che ho fatto per arrivare fin qua". La traccia successiva è "Ogni Benedetto Giorno", la quale narra dello stress e delle fatiche di tutti i giorni, intimando però nel finale l'ascoltatore a guardare il sole, il quale "viene a prenderti, ti porta via". Viva la vita c***o! Sì, fin quando non arriva "Crimine", un'amara ma bellissima storia che narra di due persone ferite dalla vita le quali, incontrandosi, si curano a vicenda. Favolosa la progressione di accordi della strofa, perfettamente in linea con il pathos del pezzo. Il ritornello è cantato (come nella maggior parte dei brani) e a volte ti chiedi se sia veramente lo stesso artista che a rappare prima ed a cantare poi. Il disco si avvia alla conclusione con "Pomeriggi svogliati", fotografia di una giornata grigia e noiosa, la quale ci traghetta a "Veleno" un pezzo soul, tutto cantato. Soul, capito?!? Echi di Motown qua e là e il solito testo essenziale, perfetto. L'ultima traccia è (non a caso) "L'Ultima Linea". Oh, Ghemon, Gilmar, Gianluca: non potevi pensare una conclusione migliore. E' un pezzo assoluto, ha tutto quello che mi piace; hip hop, soul, bossa nova, jazz... ci sento J Dilla, D'Angelo (mi piace pensare che il titolo sia un velato riferimento a "The Line"), Lewis Taylor; ci sento Marvin Gaye, Erykah Badu, i Roots, Gregory Porter; ci sento anche i cantautori italiani, Stevie Wonder, Donny Hathaway e gli Slum Village. E' un pezzo perfetto che sembra il preludio a qualcosa che verrà e che forse sarà ancora più grande.

In conclusione: chapeau. Ce l'hai fatta, Gianluca, ci sei arrivato. Hai realizzato un'opera, un album con un suono tutto tuo, con la tua musica, le tue parole ed il tuo canto; un album di musica fatta bene da chi la musica l'ha sempre amata e coltivata. Hai realizzato il tuo sogno e hai dato una grande gioia a quelli che, come me, oltre ad ascoltare la tua musica hanno sempre coltivato quella che amo chiamare "musica dell'anima", la musica che mi ha sconvolto la vita e che tu hai contribuito a far crescere ed apprezzare. Per cui grazie di cuore, complimenti e che "Orchi" e "Dee" ti proteggano.  

"...adesso sono qui, dove tu mi hai lasciato, tra le mie braccia stringo ciò che sono diventato.." 

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