I Narrowed, qui, sono un bel gruppo las-vegano di zona emo.
Il batterista è Christopher Sanchez, un ispanico carino, tatuato e tendenziolo che nel duemilaquattordici ci ha fornito via Bandcamp-name-your-price - semper laudatus sit - un bel prospetto statutario dell'imponente massa underground di soundscapes dronici creati su field recordings stiracchiate, manomesse, sovraincise, e idratate. O direttamente disegnati sull'onda regolare e matematica di noise digitali, o di sustain e feedback OGM. Pure se OGM come aggettivo sarebbe sbagliato, perché si parla di vibrazioni perlopiù immateriali - nel caso dei noise, sono immateriali anche sul piano del significato, non avendo essi referenti identificabili con oggetti reali - e comunque certamente inorganiche. A meno che uno non sia un visionario democriteo, o dotato di vista sulla quarta dimensione, e allora non so.
I più accuorti e i noisenauti incalliti avranno appunto notato l'ingente quantità di materiale sonoro reperibile in rete, nell'ambito di tutto ciò. A una facile reperibilità e a un'ampia diffusione, corrisponde certo un'omogeneità di materiali, scarsamente differenziati per esiti e per intenti (peraltro quasi mai velleitari). Lecito, quindi, chiedersi perché scrivere di ghostofthegardenicity e non di un altro a caso; e perché, invece, non scrivere un bell'approfondimento panoramico per poi venderlo e guadagnarci i soldi. Intanto, perché una scelta va operata: questo sempre, nella vita. Poi, perché l'omogeneità a cui si accennava è più apparente che effettiva. E un po' perché chi scrive decide, e gli altri muti devono stare.
Ma soprattutto perché il progetto lower-case ghostofthegardencity, in cinque movimenti partoriti nell'arco di marzo/dicembre, ben si presta a rappresentare una scena fatta di approccio anti-strutturale alla musica leggera, riprendendone cioè alcune istanze di facciata - album, copertina, titolo, traccia, prassi di condivisione - e al tempo stesso trasfigurando i contenuti in un magma etereo o in una musica concreta di fattura. Una musica certamente figlia della no wave e degli sperimentalismi più audaci e teorici, ma solo - e neppure sempre - a livello superficiale: perché a scapito di postulati, di poetiche e di artefatti espressionisti, si parla qui di un impressionismo feticista all'insegna della patina di rumore bianco che avvolge gli umani fin dal grembo materno. Forse di una forma di autismo dovuta a un'accentuata attitudine auditiva di fase pre-pre-edipica. Forse di conflitti irrisolti o di parti traumatici: se è vero che chi scrive aveva ritenuto, in giovanissimissima età, di fare un cappio del suo cordone ombelicale, magari può essere. Forse boh.
Questo è l'ultimo dei cinque titoli di ghostofthegardencity, uscito la vigilia di Natale. Se l'elemento field recording è presente, è talmente diluito da risultare indecifrabile e fantasmatica presenza, quasi animalesca, nel flusso di feedback sostenuto e distorto di Through the Sands of Time - titolo di persiane (Prince of) fattezze - che si avvale di materiali eventualmente percussivi e a collocazione casuale, come in un Homotopy to Marie in cui i pieni prevalgano sui vuoti. Behind the Curtain of Helios in compenso prende le mosse da una chitarra e da un basso, facilmente individuabili ma lontanissimi ma di chiara derivazione post rock, salvo poi implodere tra le onde lunghe, piuttosto che esplodere come nei momenti felici dei GY!BE o restare inesplosi come nei momenti infelici di tutti i vari emuli.
Caldo e accogliente, ma non sensuale: come una madre.
Cioè, come la propria madre; non come una madre a caso, che può tranquillamente essere sensuale e tutto.
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