Da Torinese, mi fa grande piacere che la prima rappresentazione di quest'opera meravigliosa, si sia tenuta a Torino, al Teatro Regio, il primo febbraio 1896. Di contro, mi spiace molto che la stampa locale dell'epoca, abbia sparato giudizi poco lungimiranti, poco lusinghieri e puttanate che nascondevano vendette e ripicche.
Un esempio per tutti:"La Bohème, così come non lascia grande impressione sull'animo degli uditori, non lascerà grande traccia nella storia del nosto teatro lirico" (LA GAZZETTA PIEMONTESE. oggi: LA STAMPA). Come diveva Totò; <Ma mi faccia il piacere, mi faccia!>
Questa è l'opera "dell'arte minuta" che ingioiella il gigantismo orchestrale, Puccini pone la luce su molti particolari per esprimere una poetica personale e moderna. Illumina il focolare, il ghiaccio che gocciola giù dalle grondaie, un raggio di sole pallido che incipria il volto della moribonda, il venditore di giocattoli, gli innamorati, una porta usurata, le mani nell'ombra: <>(Giacomo Puccini al tempo della Bohème). "Minuta", ma non semplice. Ad esempio il secondo atto - "Al Quartiere Latino", a causa del suo continuum lirico, è una delle cose più complicate a livello armonico che Puccini abbia mai creato.
Ma veniamo a questa incisione. Ogni tanto nella storia dell'arte succede qualcosa di imponderabile, imprevedibile, magico e irripetibile, che confluisce contemporaneamente in un unico punto nello stesso momento, riunendo lo stato di grazia di moltepilci parti. La fusione che riguarda quest'opera è rappresentata da: Herbert von Karajan, Luciano Pavarotti, Mirella Freni, Berliner Philharmoniker, Elizabeth Harwood, Rolando Panerai, Nicolai Ghiaurov e la DECCA.
Herbert von Karajan dirige con una eleganza, una minuzia, una precisione e un attenzione che hanno quasi del maniacale compulsivo. Come un Mago Merlino di nuova generazione, alzando la bacchetta riesce a ricavare magie, una dietro l'altra. Il suono dell'orchestra è così bello e limpido che a tratti l'atmosfera che ci arriva nelle orecchie, nel cuore e nell'anima, sembra un'espressione metafisica che va a congiungersi con l'immateriale bellezza dell'universo. Segue i cantanti come se li sfiorasse per le spalle, lasciandoli marcare la partitura di una forte tinta impressionista e per questo ancora più trasportata e sentita. La dinamica orchestrale e vocale padroneggiata da Karajan in questa edizione, è la più grande lezione esecutiva nella storia del melodramma. Qualcosa che non si ripeterà più. Sapendo che questa è l'opera delle miniature giganti, Karajan prende nota per nota e la rimodella, la plasma la cura, come a voler essere Puccini stesso per tutta l'interpretazione. Una dedizione del genere, bontà sua, lo porta anche oltre.
Veniamo ai cantanti. In questa incisione si compie un miracolo nel miracolo. Il primo miracolo riconosciuto da tutta la critica mondiale, è la fusione/incontro delle due più belle voci del ventesimo secolo; Mirella Freni e Luciano Pavarotti, rendendoli di gran lunga, ma tanto tanto tanto, la più grande coppia della storia dell'opera (per me della musica tutta). Il secondo miracolo è che entrambi in questa incisione supereranno se stessi incidendo contemporaneamente la loro più grande prova su disco, sia a livello tecnico che interpretativo. Mirella Freni per dirla tutta, in tutta la sua carriera ha sempre veleggiato sui livelli di questa incisione. Da grande belva canora qual è, poche volte si è concessa cali di tono. Ma qui le sue straordinarie capacità vengono ancora più esaltate dalla grande smania di Karajan e di Pavarotti di giganteggiare. Essendo lei una dea dell'ugola, fa vedere ai due che se hanno intenzione di creare la perfezione, può tranquillamente adeguarsi. E naturalmente, perfezione fu!Il suo canto poetico, vellutato, ampio, celestiale e ultraterreno, ti arriva addosso inondandoti di brividi incontenibili che si dilatano sulla faccia come una secchiata d'acqua gelida, lasciandoti tramortito sul posto. Ogni passaggio, ogni nota, il volume, il controllo, la potenza d'emissione, l'intensità e l'emozione espresse, sono la perfezione e il punto massimo dell'interpretazione vocale femminile degli ultimi quarant'anni (insieme all'incisione della Butterfly, sempre con Karajan e Pavarotti). C'è un momento nell'aria "Sì, mi chiamano Mimì", dove l'esplosione dell'orchestra e del suo acuto si fondono ad un punto tale da farci pensare che se, un dio esiste, è sicuramente fatto di musica. IMMENSA.
Luciano Pavarotti... croce e delizia del mondo classico e lirico. Il grande tenore che diventa il tenorissimo delle masse, arrivando a sfrangiarci i coglioni con pacchianate senza senso, collaborazioni improbabili e slabbramenti vocali da classifica popolare. Prima di diventare la caricatura di se stesso, Lucianone era semplicemente il più grande cantante di tutti i tempi (per ammissione di quasi tutto il mondo lirico), che non sbagliava un colpo. Parliamo degli anni 60 - 70. Anni nei quali Big Luciano avrebbe potuto tranquillamente andarsene in giro con una magliatte con su scritto:"NON CE N'E' E NON CE NE SARA' MAI PER NESSUNO!!!". Nessuno che l'aveva già sentito, avrebbe mai avuto il coraggio di contraddirlo. All'epoca era semplicemente un prodigio della natura che la natura stessa è incapace di controllare. In questa interpretazione il suo timbro "argentino" squilla come le trombe del paradiso con un controllo forte-piano che a volte fa quasi paura. Quando si lancia nei passaggi di sentimento, la sua forza a qualcosa di epico e delicato allo stesso momento. La potenza vocale che sprigiona negli acuti e in grado di tirare giù una montagna. Il suo matrimonio artistico con la Freni e le esigenze di Karajan lo spronano a dimostrare perché lui è stato il più grande di tuti. Qui dentro Luciano, lascia la sua testimonianza d'imbattibilità.
Gli altri cantanti sono semplicemente perfetti, pronti, impeccabili, calati e consapevoli di quale livello bisogna tenere per essere considerati grandi. Panerai oltre che bravo interpreta ancora un Marcello simpaticissimo. La Harwood è una Musetta levigata ed elegante che risalta grazie al sostegno dell'orchestra e Ghiaurov è perfetto nonostante affronti per la prima volta Colline, con la sua voce mastodontica di difficile controllo. La Berliner Philharmoniker da una prova da tramandare ai posteri di capacità di ricezione direzionale che lascia basiti. Un professionismo artistico che ha pochi eguali.
In conclusione. Uno dei massimi ascolti che un essere umano possa ricavare da un pezzo di plastica con dentro un universo.
Carico i commenti... con calma