Per quanto, personalmente, non abbia in particolare simpatia o venerazione il suddetto autore, è giusto riconoscere a Rosi quel che è di Rosi.
Era da oltre cinquant'anni che un regista italiano non vinceva due dei più prestigiosi festival cinematografici con due sue opere nell’arco di breve tempo. Antonioni, dopo il massimo riconoscimento berlinese con La Notte (1961), e veneziano con Il Deserto Rosso (1964), vinse anche a Cannes con Blow-Up (1967), in un decennio in cui il cinema italiano splendeva e guidava le maggiori avanguardie filmiche europee insieme alla Novelle Vague. Altri tempi, e di certo altro spessore rispetto ad oggi ed il paragone anche rispetto allo stesso Rosi non si pone nemmeno. Ma tant'è, è sempre positivo che il cinema italiano venga riconosciuto.
A Rosi è anche da riconoscere il merito di uno sguardo sia distante che molto personale su di un'umanità ai margini della storia. Ed è forse questo che affascina maggiormente del suo cinema. Anche se, a ben vedere, Sacro Gra fu premiato da un benevolo Bertolucci contro ogni pronostico, e Fuocoammare è stato premiato da Meryl Streep soprattutto in virtù del clima politico di questi non divertentissimi anni.
Ma considerare Fuocoammare come opera politica sarebbe il peggiore degli errori.
Quel che più mi colpisce positivamente, sia qui che nel precedente sopracitato Sacro Gra, in film cioè molto lontani dall'essere dei capolavori, è proprio l'originalità di uno sguardo che raggiunge una certa e particolare purezza nell'inquadrare vicende del reale distanti dalla luce della centralità. Vicende di vita tanto ordinaria ed apparentemente insignificanti, che sono quanto di più lontano dalla celebrazione dell'estetica cinematografica e non del cinema hollywoodiano. Anzi, Rosi fotografa la bruttezza e le piccole o grandi tragedie della marginalità con una propria e meritevole maestria.
Poi, ovviamente, c'è la questione sbarchi, immigrazione e morte.
Del film sono risaltate in particolare le scene più controverse e disturbanti riguardanti la morte di diversi disgraziati africani a seguito dei viaggi in mare.
Ora, già diversi altri registi e documentaristi si sono spesso interrogati sul senso e sull'opportunità di mostrare la morte per immagini e/o suoni (autori di ben maggiore caratura artistica rispetto a Rosi, un nome su tutti: Herzog). e sulla possibilità di varcare o meno la linea del mostrabile.
Rosi infatti, per diverse, seppur brevi scene, mostra più e più facce del tragico: disperate rianimazioni, svenimenti, condizioni non troppo umane, cadaveri imbustati ed, infine, cadaveri ammassati nei piani inferiori delle imbarcazioni. Le immagini sono senz'altro crude ma anche molto asciutte, ed in questo spoglie di sensazionalismo. E, mi verrebbe da dire, anche di ricatto morale, non fosse che c'è sempre una forma di macabro voyeurismo ricattatorio in simili operazioni.
Difficile valutare film come Fuocoammare, che possono affascinare per i motivi di cui sopra, oppure disgustare. personalmente, posso solo chiudere dicendo di provare entrambe le sensazioni.
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