Sempre cantautorato minore. O post-cantautorato. O quel che volete. Magari semplicemente belle canzoni. Ma ha senso oggi ostinarsi a scrivere belle canzoni ? Ha senso donchisciottare contro un sistema, contro un mercato, una pletora d’imbecilli che credon d’essere discografici e produttori, contro un popolo che mentre cena preferisce avere come sottodfondo un quiz e non della buona musica…? Ha senso, sì, anche se non parrebbe.
Perché la canzone, in molte e svariate forme, esiste da un sacco di tempo (recentemente anche il buon Sting ne ha dato un esempio saggio), e sarà difficile liberarsene. Un po’ come se fosse una bella prostituzione, provocatoria se intelligente, divertente se divertita. Gianmaria Testa fino a qualche anno fa si trovava solo d’importazione dalla Francia. E sul giudizio ci si potrebbe pure fermare qui. E ciascuno pensi quel che vuole. Oggi, per fortuna, dopo che un giornale ha pubblicato una raccolta acustica molto interessante qualche anno fa (si trattava dell’ottimo “Il Valzer Di Un Giorno”) -e si sa che gli italiani almeno davanti all’edicola ci passano- dopo che qualche jazzista di pregio (Rava su tutti) s’è accorto di lui accettando di collaborarci, dopo che il popolo del teatro ha fatto capire di esserci, ecco che Testa ha potuto incredibilmente riconquistare la patria, quasi fosse un condottiero della chitarra e della parola cantata. Ma un condottiero mesto, molto tranquillo e molto, molto, molto piemontese. E del miglior Piemonte, del suo Piemonte, ha una caratteristica fondamentale e (per me) bellissima: l’inversa proporzionalità tra la qualità e la forza del messaggio e la capacità di fare e farsi marketing (che ultimamente, per gli altri, è sempre più che altro marchètting…).
In altre parole: non si sa vendere e non sa vendere un prodotto eccellente quali sono le sue canzoni. Una caratteristica che in Piemonte hanno molti vini: ci sono Barbareschi e Nebbioli che si mangiano tutte le toscane e le sicilie che volete (non parliamo neanche degli altri…), ma che l’enoteca snobba, l’enologo o l’assaggiatore famoso (guardacaso) non considera e che il servizietto prezzolato di mediarai non parla mai. Il prodotto del Piemonte, spesso, si vende poco perché non si sa vendere, e perché non “compra” nessuno che l’aiuti a vendere.
Dunque, ragazzi, preparatevi a vedere le vetrine prenatalizie stracolme del modestissimo ultimo disco del modestissimo Cammariere, e magari solo in un piccolo angolino sperduto nell’ultima vetrinetta, questo splendido concept album (sì…altra cosa estremamente antica e out…: un concept album !) profondissimo, scritto, interpretato e suonato in maniera eccellente dall’unico vero erede del cantautorato classico (scuola immensa che meritava molti più allievi e molto più studio…). Un disco interamente dedicato all’immigrazione, con canzoni belle, dirette, mai buoniste o banali, ed anzi, in periodi di semplicismo razzistico come quelli che viviamo, anche un disco scomodo e provocatorio, ma talmente “stiloso” da far arrivare la propria profondità e la propria provocatorietà a troppa poca gente. In mezzo anche una “cover”: l’antichissima “Miniera” (Bixio-Cherubini, 1927) che i meno giovanissimi, come me, avranno probabilmente sentito cantare da qualche mamma o da qualche nonna (ahi…poveri i ragazzi che ricorderanno la mamma che li culla cantando “Terra Promessa” di Eros o, peggio, “La Regola Dell’Amico" di Max…).
Insomma, un disco imperdibile e un ottimo regalo per le orecchie di chi può, sa e vuole capire. Perché a Natale è bello poter anche riflettere su cose serie, in maniera non populista, stronzetta o banale, magari anche grazie a quella cosa vecchia, bella, che spesso sembra morta o morente, ma che in fondo ce la fa sempre, che è la canzone. Quella vera.
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