Ce n’è di musica sottovalutata in Italia o a vederci bene ce n’è di gente che di sensibilità ne ha troppo poca per intrappolare nella propria emozione dischi come questo. E questo ci sta facendo pagare a tutti cieli nuvolosi (ricordate "Le Nuvole" di De André-Aristofane, dove il potere e i suoi servitori venivano rappresentati come nuvoloni che si interpongono tra noi e il cielo oscurando il sole, cioè la verità?). Il discorso si farebbe grosso, eppure non credo ci sia così tanta distanza dalla società in cui siamo impantanati e la musica che ascoltiamo. D’altra parte non si fa altro che scegliere, assorbire e manifestare e ciò che si manifesta è spesso alquanto triste.
Una maniera di spolverare il cielo dalle nubi “oscurantiste” credo proprio sia tramite l’essenzialità, la scarnificazione, il ridurre all’essenza e l’essenza purché esista, non rappresenta altro che la verità.
Ed è proprio l’essenzialità che sta alla base di questo lavoro, un lavoro quindi vero, coraggioso proprio perché nessuna sovrastruttura e nessun artificio sono stati adoperati..
Non penso sia necessario soffermarsi sui singoli brani, dato che son già stati recensiti da altri debaseriani, trattando i dischi in studio; in questa raccolta dal vivo sono però presenti due novità: una breve canzone che apre il concerto, dal titolo “La nave” composta da un cantautore pugliese, ai più non molto noto, Angelo Ruggiero. Al termine della scaletta vi è invece un inedito proprio di Gianmaria Testa dal titolo “Come al cielo gli aeroplani”, canzone molto “sua” che non aggiunge forse niente di nuovo al suo repertorio ma è sicuramente una perla in più che va di diritto ad accodarsi nella preziosa collana di canzoni.
La genesi di questo live è abbastanza nota, si tratta di una vicenda casuale: Testa ascoltò la registrazione del concerto tenuto all’Auditorium Parco della musica di Roma, da solo con la chitarra e si accorse che quella registrazione riusciva a restituire le emozioni che si erano create in quella serata evidentemente ben riuscita, così decise di far uscire il disco.
Durante l’ascolto, infatti, si sentono i naturali rumori di scena, gli applausi senza artifici e sgradevoli sovra incisioni, le frasi di piemontese e lucida ironia con cui Gianmaria usa intervallare le canzoni. E’ un disco fatto di voce calda, grassa, ruvida, da una chitarra acustica e da nient’altro e credetemi, non è poco, è una scelta che significa coraggio, il coraggio di chi non è interessato a salire sui vagoni pieni di niente della spettacolarizzazione ad ogni costo, ma di chi preferisce rimanersene a terra, camminando e faticando, quasi a voler osservare da vicino le storie che racconta.
Le canzoni di Testa nelle varie incisioni in studio erano quasi sempre magnificamente arrangiate, musicisti di elevatissimo spessore hanno contribuito a vestirle di maestria e compostezza. Si, dal punto di vista dell’ascolto (e per un disco non è cosa da poco!) in questo concerto raramente si trovano versioni migliori di quelle originali, infatti sarebbe del tutto plausibile domandarsi sul significato dello spogliare canzoni che troppo vestite certamente non lo erano.
Io credo sia un atto di coraggio ed al tempo stesso un modo di mettersi alla prova, al fine di dimostrare che un’artista deve anche confrontarsi con la propria arte messa a nudo, deve capire se queste benedette canzoni stanno in piedi per quello che sono. D’altra parte Testa ha sempre dichiarato che ama scarnificare il linguaggio, cosciente di muoversi in controtendenza in un epoca fatta di ridondanze, ma è proprio questa la caratteristica che forse rappresenta la misura dell’artista e questo disco ne è palese dimostrazione.
Concludo con il riportare una cosa scritta da Gianmaria Testa (con uno stile che ricorda molto da vicino quello del suo amico Erri De Luca) da cui ben si evince il suo modo di vedere le cose: "Quelli come me incominciano da soli a battagliare una chitarra. Finché il legno si svernicia e le dita si scavano di corde. Qualche dritta di un amico è benvenuta, ma il grosso è testarda vocazione all’addomesticamento di qualcosa che senti anarchico e selvatico. Poi la fatica solitaria diventa una frontiera: se l’attraversi ti rimane addosso una malattia di canzoni. Così è andata per me e forse così doveva andare, con la chitarra da accompagnamento e compagnia. E avrei suonato e cantato comunque. Con o senza dischi, con o senza pubblico. Per questo nei concerti non patisco affanni, mi dico che è un incontro da onorare. Gente che è partita da casa apposta, qualcuno per caso, da non far pentire. Di questo, con Paola, abbiamo deciso di lasciare un nero su bianco. Di un giorno di maggio a Roma, qualche amico e la gente che arriva come a un appuntamento”.
In effetti questo breve scritto di Gianmaria Testa sarebbe bastato per spiegare nel miglior modo possibile il disco e il suo modo di vedere le cose… a proposito di essenzialità… a esserne capaci, accidenti.
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