A volte mi faccio mandare dalla mamma a prendere il latte (o dalla “pivella”, che tanto è uguale, c’è sempre e comunque una donna che comanda in casa). Appena metto piede nel supermarket (si sa, la bottega del paese “è troppo cara”), il cervello diventa luogo di battaglia tra due irrefrenabili desideri, tra loro antitetici.

Da un lato, la voglia di prendere al più presto tutti i prodotti presenti nella (chilometrica) lista della spesa e fiondarmi verso la cassa, per andare via da quel luogo malefico pieno di corridoi mal segnalati, vecchietti perennemente indecisi tra Ketchup e Catsup, bambini piagnucolanti per l’ovetto kinder non acquistato.

Dall’altro lato, la possibilità di frugare per ore e ore nei leggendari cesti della musica, inesauribili miniere di cd sottocosto e autentiche perle trash.

Anche se gli “studio album” delle grandi band internazionali (U2, Bob Marley e Santana i più quotati) o del pop (Madonna regina incontrastata, più artista “rivelazione del momento” a scelta tra Rihanna, Lady Gaga, Katy Perry e… Kylie Minogue) fanno capolino qua e la, a farla da padrona è naturalmente la raccolta di successi, e anche qui si aprono praterie: tra le tante, è possibile trovare la 20th century masters millennium collection o qualcosa di simile, con la copertina grigia e la foto del gruppo in b/n, ma riguarda perlopiù artisti inglesi o statunitensi, soprattutto di stampo rock, oppure la raccolta di balli latinoamericani, con le loro copertine dai colori vivaci, una ballerina brazileira seminuda o un ballerino pelato interamente vestito di bianco. Ma soprattutto ci sono le raccolte dei cantanti di musica leggera italiana, che furoreggiano in maniera palese.  Caratterizzate da un packaging pressoché approssimativo, con poche e scarne note, un suono anonimo e poco curato, queste compilation sono prodotte per nostalgici senza alcuna pretesa estetica e uditiva oppure per turisti, soprattutto del Nord (leggi: tedeschi) o dell’Est Europa, in ogni caso ammaliati dal bel canto italico.

“Primo Piano: Gianni Morandi” del 1998 è uno splendido esempio di raccolta data alle stampe senza alcun criterio logico: è talmente approssimativa e priva di senso da risultare ammaliante nella sua bruttezza. La pretesa di concentrare una carriera pluridecennale in sole dieci tracce, senza alcun legame apparente, dimostra uno sprezzo per lo zelo senza uguali. La copertina, fedelmente riprodotta nel retro con la sola aggiunta dei diritti, esplica in maniera evidente la cura maniacale per la grafica. Le tracce cercano di riassumere per sommi tratti l’intensa carriera dell’artista bolognese: dalla giovanile e arcinota “Fatti mandare dalla mamma a prendere il latte” alle parole di fuoco di brani impegnati come “Un mondo d’amore”, “C’era un ragazzo…” e “Vado a lavorare”. E non poteva certo mancare la geniale “Sei forte papà”.

Ma è l’incredibile pasticcio della track-list a conferire, da parte del sottoscritto, i pieni voti a questa meraviglia: non solo si possono osservare discrepanze nell’ordine delle canzoni tra il retro della custodia e il supporto musicale (roba da nulla, solamente una trascurabile inversione tra “Fatti mandare dalla mamma” e “La Fisarmonica”, tanto per non confondere l’ignaro ascoltatore estero), ma si può constatare l’inusuale ribellione dei titoli nel frontespizio, che seguono lo stesso ordine di quelli del retro fino alla sesta traccia, salvo poi disporsi autonomamente e in maniera del tutto casuale.

Insomma, siamo davanti ad un meraviglioso mix di indolenza, anonimato e bruttezza, un capolavoro concentrato in pochi grammi di peso e pochi centesimi di prezzo.

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