Swerve: deviazione.
Howe Gelb è uno che nella propria carriera ha sempre fatto quel diavolo che gli pareva. I primi lavori iniettavano l'eredità folk con le schitarrate figlie di Hendrix e del punk: pezzi come "Thin Line Man" si imprimono nel cuore come una donna amata persa nei ricordi. Dieci anni dopo il chitarrista-polistrumentista-compositore si dà al *lo-fi* e firma una raccolta di brani casalinghi ("Hisser") assieme ad amici, colleghi ed ex mogli (davvero); poco prima, si divertiva ad improvvisare 25 minuti live di suite psych-country nello splendido "Backyard Barbeque Broadcast".
Un vero maelström ordinato, ossimoro ad indicare quella particolare agitazione creativa tanto free quanto agganciata a binari tutto sommato classici (sempre il solito folk americano). Nel 1990 Gelb ed i suoi Giant Sand partoriscono questo difficile "Swerve": un'opera che salta dal country, si impantana nel noise e nel free jazz, alternando rock grintoso, ballate classiche e intermezzi scomposti. "Can't Find Love" apre le danze: basso rotolante, rumori e duetto di voci; si prosegue con "Swerver" che profuma di avanguardia pura; ritorniamo su binari rock con "Sisters And Brothers"... e così via, fino agli 8 minuti di "Every Grain Of Sand", vero capolavoro di un'opera tanto interessante quanto, forse, incerta. La stessa incertezza che spingerà l'artista a proporre il quasi-art rock di "Chore Of Enchantment" in contrasto con il più recente "Tucson: A Country Rock Opera" che segna ritorno al semiacustico, alle radici.
I flutti sonori che accompagnano la nave incorniciata nella splendida copertina, la deviano dalla rotta della convenzione musicale, verso lidi toccati da pochi.
Forse Gelb non ha mai saputo quale strada prendere, lasciando sulle sue orme pezzi di gemme che valgono più di una carriera.
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