E poi, stranamente, quasi per caso, ti imbatti in album che non ti aspetti, opere ammantate di classe e di musica come mai ti saresti immaginato. Un ensemble di emozioni, musicalità e songwriting. Un lavoro inaspettato, sofferto, che si infiltra sotto la pelle per non uscirne più. Una vera e propria sorpresa che ha l'etichetta dei Giant Squid, una band semisconosciuta di Austin, Texas, giunta con "Cenotes" alla pubblicazione del terzo platter.

Al di là di una copertina suggestiva ma poco convincente, ciò che cattura l'attenzione è il contenuto. Il suono ovattato, maledettamente "denso" del quartetto statunitense è quasi del tutto perfetto nel bilanciare musicalità, armonia, potenza e suggestioni oniriche, panteistiche e chi più ne ha più ne metta. Un calderone magmatico ma sempre ben delineato di musica con una vaga sensazione malinconica che si adagia sul sottofondo dell'oceano che sembra fare da scenario a "Cenotes".

C'è un fattore fondamentale che va sottolineato e che ad alcuni potrebbe far storcere il naso: i Giant Squid nel loro brodo primordiale in cui heavy, doom e progressive girano a meraviglia, ci mettono anche il violoncello, curato da Jackie Perez Gratz, donnina che in alcuni pezzi si occupa anche di coaudiuvare il cantante Aaron Gregory dietro il microfono. Il suono caldo e avvolgente del suo strumento ha il merito di aggiungere originalità e varietà alla proposta del Calamaro Gigante, nonchè alimentare un pathos che si mantiene alto per l'intero cd, grazie a quel tipico suono d'antichità che il violoncello riesce a produrre. "Tongue stones" è la riprova di quanto detto: oltre nove minuti di metal originale, atmosferico, avvolgente, progressivo e soprattutto ben suonato, in cui il modus operandi è l'insieme di accellerazioni e frenate improvvise su cui si aprono scenari cupi, stemperati soltanto in parte dalla voce femminile della Gratz. Come rimanere indifferenti davanti alla magniloquenza "ragionata" di "Mating scars"? Come non apprezzare il ritmo bellicoso e tribale della titletrack?

"Cenotes" è un romanzo degli abissi, un lavoro allo stesso tempo oscuro e "arioso" che strizza l'occhiolino ad un progressive anomalo ma sempre delineato su binari che la band dimostra di conoscere bene. I Giant Squid hanno preso lezioni dai Tool e in alcuni passaggi questo si percepisce ma la loro rielaborazione rimane comunque del tutto personale.

Al di là quindi di un pizzico di presunzione che volente o nolente rimane insito in album di questo tipo, i Giant Squid sono riusciti con "Cenotes" a partorire un sound che è loro ma anche di altri, in un'unione prolifica e redditizia. L'album in questione scorre che è una meraviglia, non conosce il significato della parola noia, ma anzi stupisce per pathos e teatralità senza per questo risultare ampolloso. I texani mantengono una verve musicale compatta per tutti i 35 minuti del cd, mantenendosi su coordinate precise.

Bisogna soltanto tuffarsi negli abissi blu dell'oceano.

1. "Tongue Stones (Megaptera Megachasmacarcharias)" (9:16)
2. "Mating Scars (Isurus Metridium)" (8:05)
3. "Snakehead (Channidae Erectus)" (7:48)
4. "Figura Serpentinata (Pycnopodia Sapien)" (3:53)
5. "Cenotes (Troglocambarus Maclanei)" (6:07)

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