Tra gli eventi che hanno segnato la mia vita di ascoltatore di jazz, nel mio cuore c'è un posto particolare per l'indimenticabile performance della Gil Evans Orchestra, che ho avuto il privilegio di ascoltare a Perugia nel 1988. Il grande vecchio se n'era andato da poco, ma la sua presenza aleggiava fortissima, era quasi palpabile. L'orchestra era saldamente diretta dal figlio Miles e portata avanti dai suoi fedeli musicisti, intenzionati a trasmettere nel futuro il messaggio dei uno dei geni musicali del secolo appena trascorso.

Ricordo in particolare una versione incredibile di "Liberty City" e una "Little Wing" introdotta dal fantastico basso di Mark Egan... Ricordo la foto che campeggiava sul palco: Gil Evans che stringe la mano a Jaco Pastorius.

Tutti questi ricordi sono saltati prepotentemente alla ribalta grazie all'ascolto di questo disco di Gil Goldstein, ottimo pianista, fisarmonicista, bandleader e collaboratore di Gil Evans nei suoi ultimi anni.

Sono proprio Gil Evans e Jaco Pastorius le stelle polari di questa incisione. Goldstein mette in repertorio tutte le composizioni più famose del grande bassista, ammantandole di una veste sonora che sembra provenire direttamente dalla penna del grande Evans.

L'ensemble è stato messo in piedi in modo intelligente e creativo, dato che raccoglie musicisti che hanno un debito artistico molto forte nei confronti di Pastorius. C'è Mike Mainieri (il cui vibrafono suona spesso e volentieri come le steel drums) a suo tempo mente degli Steps Ahead, che portò avanti le tematiche fusion fino alle estreme (e più commerciali...) conseguenze. C'è il trombettista Randy Brecker, che aveva spesso militato nelle sezioni fiati dei dischi di Jaco. Ci sono le percussioni del grande amico Don Alias, ahimè anche lui passato a miglior vita. Richard Bona, bassista originario del Camerun, non ha certo un compito facile, tuttavia riesce a miscelare in modo convincente tecnica ed espressività. Inoltre si dimostra ottimo cantante nella conclusiva "Suninga".

Quasi toccante la scelta di includere, oltre a brani celeberrimi ("Donna Lee", "Liberty City"), alcune composizioni meno frequentate ("Three Women", "Good Morning Anya"), che risplendono di una lunare e soffusa bellezza nelle mani del gruppo. Manca quasi completamente il Pastorius più ribelle, il micidiale fustigatore del basso elettrico, il pagano celebratore del feedback. Piuttosto, si gioca tutto sui chiaroscuri, sulla morbidezza (complice lo Zebra Coast String Trio), sul sound caraibico tanto amato dal nostro. Ed ecco che i tredici movimenti del concerto (registrato dal vivo al Blue Note di New York) diventano un flusso di coscienza che si dipana senza soluzione di continuità per tutta la durata del disco, alternando soffici "nuvole sonore" ad ispirati assoli (in evidenza il sassofonista Chris Potter).

Certo, bisogna ristabilire le proporzioni, ed ammettere che Goldstein, pur avendo fatto un eccellente lavoro non è certo Evans. Ha gusto da vendere ma gli manca il colpo di genio: certi classiconi che abbiamo tutti nelle orecchie (un nome su tutti: "Three Views of a Secret") sono emozionanti, ma forse sarebbe stato il caso di riascoltarli in una veste più "avventurosa"...

Al di là di questo, il disco rimane gradevolissimo, con in copertina "Il sogno" di Rousseau che aggiunge piacere a piacere.

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