"Mi siedo qui, sono stanco", stanco di vedere persone che non vedono, e se vedono non capiscono che cosa vedono. Atti di volontaria negazione sociale che nascono da inadeguatezza collezionata in cinquanta anni di vita e che riempiono di piombo ogni singola traccia di questo quinto suo lavoro in studio. Le parole sono semplici quanto basta per esprimere istantanee di vita laceranti, non ti lasciano scampo né scuse: tu sei lì davanti, non vorresti guardare ma alla fine sei costretto ad ammettere che è tutto vero, che gli sconforti sono dietro l'angolo di un' ennesima estate, che l'assenza di pensiero di chi ti circonda non la puoi condividere e che la fortuna è un animale così veloce che hai tempo appena di guardarla passare nel cielo. In tutti questi contenuti (e nella sua rilettura anticommerciale del cantautorato italiano) si manifesta la sua perenne impossibilità di piacere a tanti. Rabbia e riflessione, sentimento e nichilismo si alternano nelle stesse canzoni senza che l'artista si sottragga mai al suo lento mettersi a nudo. Emblematica in questo senso la batteria spietata della iniziale "Quello della foto", che mette con le spalle al muro l'ascoltatore assieme alle parole, ed è un attimo riconoscersi nel suo tentativo di negarsi al mondo che non senti tuo. Esiste un solo momento di riflessione totalmente votata al prossimo, ovvero quando "Tutti gli uomini" prende il volo dalla sua penna per non tornare più indietro, regalata a ogni donna che abbia in sorte la fortuna di ascoltarla. Attraverso alcune tracce meno ispirate ("Schegge Vaganti" e "Rifugi Di emergenza") e diversi picchi a volte acustici ("Lezioni di poesia"), a volte elettrici con rimandi ai Marlene Kuntz (vedi "MP nella BG"), la prova finale del valore di Giorgio Canali e dei suoi Rossofuoco sta nascosta nel soffice tappeto di chitarre sospese nell'aria di "Mme et Mr Curie", una poesia per lo sguardo e per l'udito che porta la mente a rarefarsi ed estraniarsi assieme a lei.
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