Da Predappio, luogo di pellegrinaggio per tanti nostalgici del periodo fascista, proviene ironicamente Giorgio Canali. Un artista che porta dentro di sé una profonda, sfaccettata identità politico-musicale.
La stella rossa vietnamita, che da sempre campeggia sulla sua chitarra, riappare (in questo suo primo lavoro solista) nelle parole e nel titolo del brano forse più rappresentativo del disco: "1.2.3.1000 Vietnam". Un assalto rock di chitarre, sfumate da un sax acido ed isterico, che termina con Bertrand Cantat dei Noir Désir intento a gridare "hasta siempre comandante".
In realtà l'entrata in scena avviene in punta di piedi, con "Nananà Nananà" ad introdurre a piccoli passi l'ascoltatore nel suo nuovo mondo. Qui, come in molti altri momenti, è il tono ironico di Canali a salvare dalla nebbia dei pensieri che contraddistingue l'intero lavoro.
Un'atmosfera amara, ricca di riferimenti storici, letterari e personali di una persona cittadino dell'Europa. Di un continente malato, ferito e osservato da Canali attraverso il vetro del bicchiere sempre pieno. Un appannamento apparente che diventa lucidità espressiva ed innesca corto circuiti continui grazie alle immagini che riesce ad evocare in mezzo al mare di strumenti.
Non sempre il gioco riesce in pieno ed alcuni passaggi risultano ancora un po' troppo pesanti da digerire (vedi "100.000" o "Va Tutto Bene", comunque inquietanti e con un loro valore), ma più spesso la ricetta funziona.
In questo senso non è possibile far finta che non esista "Nuvole e Blériot", la sua prima ballata, madre di tutte quelle a venire. Così come la sintetica accoppiata finale, perfetto compendio del suo futuro compositivo: "Laslotòz", dissacrante punk rock da spararsi in vena e "Ça Y Est", basilare e amara ballata semi-acustica in perfetto stile Canali.
Traiettorie musicali che possono lasciare inizialmente disorientati ma che inquadrano benissimo lo stile di un artista già pronto a ferire i nostri cuori.
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