Dopo aver colpito, con abili sferzate, il clima arroventato dalle rivoluzioni, o tentativi di organizzazione delle stesse, degli anni '70, Giorgio Gaberscik, maggiorativo del ben più famoso Gaber, decide di mostrare il raccolto guadagnato dopo dieci anni di lavori intensi e più volte disturbati dagli attacchi sovversivi provenienti da tutte le fazioni politiche. "Anni affollati", per l'appunto, è il risultato di una attenta analisi di quei tempi decisamente confusi.
Gaber, in alcuni brani, sceglie, come metodo dimostrativo, l'introspezione. Ma una introspezione violenta, autoaccusatoria, magari con una sottile vena di speranza ed una leggermente più pulsante di provocazione. Gaber, che mostra il resoconto del suo pensiero anche mediante esecuzioni di fuoco contro ogni obiettivo, obiettivi appartenenti ad ogni schiatta, senza la volontà, a volte doverosa, di risparmiare innocenti o martiri. Gaber, che espone il suo personalissimo esame di coscienza agli occhi di ogni casta, radioscopica che può apparire violenta o precisa, dissacrante o proba, incosciente o giusta, farneticante o superba.
Gaber, che utilizzando ogni mezzo disponibile rivendica l'esistenza del potere divino, tentando addirittura di subentrargli, di farne le veci, con un pizzico di gratuita onnipotenza al limite della blasfemia.
Gaber, che decide di distruggere con ironia ed abnegazione, le strutture politiche e sociali tirate su con il sangue degli innocenti, dei faziosi, degli studenti e dei poliziotti, senza omettere quello sparso, sempre a titolo ignobilmente gratuito, dai detentori del potere mesto della politica.
Gaber, che conferma la sua volontà di emanare invettive al solo scopo di annientare l'ipocrisia, la sporcizia incrostata negli ingranaggi di ogni ganglio, creato o già esistente dal conciliabolo degli statisti dell'epoca, gettando una profetica occhiata a quelli attuali.
Gaber che non risparmia nessuno, che con nevrotica violenza spazza via ogni forma di falsità, ogni tentativo di occultare il vero, ogni probabilità di celare il giusto. Che punirebbe con sanguinose flagellazioni chi possiede la libertà di decidere su tutto, chi non possiede scrupoli di coscienza, chi giudica senza alcuna remissione di peccato, chi è convinto di poter concludere ogni trattativa.
Gaber che tocca l'apice della sua (giusta o ingiusta?) velenosità, annunciando a gran voce la decisione di sostituire per soli quindici minuti il simbolo principale della religione cattolica, mettendo a ferro e fuoco l'ideologia appartenente ad ogni fazione. Che sostiene di essere più, preciso, forse più giusto, più intollerante e intransigente di ogni altro, eliminando con la sola forza del diaframma le congetture e le falsità sperperate negli anni, ammettendo anche i propri errori, a costo di rischiare una mediatica crocifissione con "Io se fossi Dio".
Provocazione, più che canzone, prevalentemente coraggiosa, pubblicata clandestinamente poco dopo la morte di Aldo Moro. Coraggiosa, in relazione alle dichiarazioni presenti nelle liriche, dove Gaber attacca tutto e tutti, senza alcuna remora o rimorso di coscienza.
Gaber che denuncia la falsità tracimante della gente, dei politici dell'epoca, che denigrano le forze dell'ordine (in alcuni casi giustamente) durante il loro operato e le piangono con pietà alla morte di qualcuno. Falsità tracimante di uomini politici che definiscono male i propri colleghi, i propri presidenti, che se potessero li eliminerebbero perché giudicati pericolosi, perché dannosi nell'eventualità di creare compromessi "storici". Politici pronti a piangere con lacrime artificiali scaturite da bucce d'arancia strizzate negli occhi al momento del ritrovamento di tali presidenti nei bagagliai di auto "furtivamente" parcheggiate nel luogo giusto. Politici che predicano democrazia e giustizia ricordando con commozione posticcia il collega martirizzato dal terrorismo parlamentare con "la tovaglia sulle mani e le mani sui coglioni" (Grazie Fabrizio!).
Gaber che nonostante tutto, denuncia con superbo coraggio (e il rischio di finire in galera) rimanendo fermo sulle sue affermazioni, dove un uomo vivo e malvisto rimane tale anche dopo una morte cruenta.
Disco che, anche se terribilmente censurato all'epoca per gli ovvi contenuti accusatori, rimane una perla di rara luminosità sia nella discografia di Gaber che nel panorama musicale italiano.
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