Dopo il debutto teatrale con 'Il signor G.' ed il riaffacciarsi in studio con 'I borghesi', Gaber è pronto per iniziare un lungo progetto di teatro-canzone, che lo vedrà animare, insieme a Luporini, intense stagioni teatrali per diverse anni. Precoci, incerti, e ancora quasi vicini alla carriera precedente la svolta teatrale sono i primi due LP di cui prima, con questo siamo invece nel pieno e quasi quasi nel miglior momento del suo progetto. Come al solito la durata considerevole del lavoro non rende facile l'ascolto, l'omogeneità è aiutata, in maniera un bel pò forzata, dalle prose che dovrebbero legare una canzone ad un'altra. Un ascolto profano, da cui sono escluse le prose, perde molto della teatralità di Gaber, ma snellisce il tutto e ci propone, uno dopo l'altro tanti brani, tra cui più di qualche ottimo episodio. Oltre a tanti brani diventati poi classici, e spesso ripescati negli spettacoli successivi (tra cui segnalo 'Il teatro canzone', LP antologico, sempre relativo ad una stagione teatrale, quella del 1991-1992), ci sono brani meno noti, ma pregiati.
Nella prima parte dello spettacolo sono da segnalare 'L'ingranaggio' e 'La presa del potere'. Dopo le segnalazioni in genere scrivo qualche parola di considerazione sui brani scelti, con Gaber c'è poco da fare; anomalo per tanti motivi rispetto ai cantautori da 'studio', utilizza un linguaggio estremamente semplice, fa dell'ironia il suo strumento retorico preferito, e ne abusa, al contrario non ama molto metafore o simboli, preferisce dire le cose come stanno, usando spesso l'attualità, ma anche l'introspezione ed i rapporti sociali come pretesto per le canzoni. Il linguaggio è diretto, giusto per il teatro, che non prevede, a differenza dell'LP, ascolti continui e la possibilità di consumare un disco ed imparare il brano a memoria, o poterlo ascoltare molte volte per studiarlo e capirlo fino in fondo. Lontano dall'ermetismo di De Gregori, come dal tema mitico-autobiografico di Vecchioni, cupo, a volte gucciniano, specie nei primissimi lavori in teatro, ma più spesso ironico, istrione e, con il passare degli anni, sempre più incazzato.
Simile a pochissimi, capace di usare molto bene la parola, ma comunque un pò sopravvalutato. Scegliere un momento della sua carriera buono per farsi un'idea su di lui è difficile, data l'enorme quantità dei brani; oltre a questo lavoro segnalo 'Polli di allevamento', come due episodi molto riusciti.
Sui brani appunto c'è poco da dire, sono parecchi, Gaber tende a ripetersi abbastanza spesso: il tema dell'amore quotidiano, annoiato o borghese, ad esempio, ricorre spesso nei primi episodi teatrali; a volte invece introduce temi inediti, ma che sente poco suoi, e lo fa in brani abbastanza infelici (soprattutto in 'Far finta di essere sani', dove, pretendendo di stampare un album con ben 16 brani, in realtà fa un gran macello, e di questi più della metà risultano proprio da dimenticare); c'è del genio, ma va rintracciato, poco a poco, scandagliando la sua produzione. I brani catturano l'attenzione con facilità per il linguaggio e le tematiche spesso familiari, semplici o attuali, raramente banali, vere, genuine, ma spesso un pò forzate.
Nella seconda parte dell'LP segnalo 'Ci sono dei momenti', in cui per una volta l'impegno sociale lascia spazio all'introspezione, dimostrando che oltre a 'Stato', 'Piccolo borghese' e 'Democrazia', ci sono anche concetti più intimi, più personali ed umani, che vengono fuori in un brano, a modo suo, molto poetico, sincero e toccante. Gaber si accorge del suo malessere proprio dall'indifferenza che in 'quei momenti' prova per il sociale, per la politica, per la lotta di classe ed il rifiuto, e con tenerezza chiede che in quei momenti, in cui la tristezza lo aliena, venga coinvolto di nuovo nella realtà. In questo brano molto bello e semplicissimo, per niente pretenzioso, ma schifosamente schietto, vediamo come l'attaccamento a degli ideali può anche nascondere la necessità di una via di fuga, uno svago da una realtà che è quella umana, uguale per tutti, e per tutti difficile da tollerare. Oltre a questo segnalo la più nota 'Al bar Casablanca', che seppure ritorna sul tema dell'indifferenza verso le tematiche sociali, lo fa con un'ironia ed una semplicità insuperabili, che la rendono una canzone sempre azzeccata, anche dopo molti ascolti, tanto è nitido il ritratto dipinto degli intellettuali qualunquisti e menefreghisti, seduti sullo sgabello del bar, comodi come comodi si sta nella loro condizione di convenzione. Dall'altra parte della retorica, dell'indifferenza, dell'impegno fatto solo a parole e slogan, ci sono le mani sporche, il sudore, la poca fantasia, la poca voglia e possibilità di istruirsi, di prendere coscienza e quindi di difendersi dalle vere minacce del potere, cioè ci sono 'Gli operai'; in un brano che, già dal titolo può sembrare uno dei mille scritti da Gaber sul tema della sensibilizzazione alla giustizia del proletariato, in realtà vale lo stesso discorso, per quanto diversi siano i soggetti, de 'Al bar Casablanca', cioè: il brano è abbastanza originale, semplice, non pretenzioso: una formula che vale per molti brani di G. e che in realtà non riesce sempre, ma che in questo bellissimo disco ci offre spunti indimenticabili e, spero, indimenticati.
Concludo, visto che non credo di scrivere altre recensioni su di lui (ne ho già scritta un'altra): Gaber va apprezzato per la schiettezza, per l'immediatezza, per la forza comunicativa, a metà tra poesia e comizi sovversivi, sempre vicino alla vita, mai iperbolico o onirico, vicino alle corde che vibrano nella vita di tutti i giorni e di tutti noi. Sbagliato sopravvalutarlo, come leggo spesso, però impossibile non apprezzarlo.
Elenco tracce testi e samples
03 Lo shampoo (03:52)
Una brutta giornata
chiuso in casa a pensare
una vita sprecata
non c'è niente da fare
non c'è via di scampo
mah, quasi quasi mi faccio uno shampoo.
Uno shampoo?
Una strana giornata
non si muove una foglia
ho la testa ovattata
non ho neanche una voglia
non c'è via di scampo
devo farmi per forza uno shampoo.
Uno shampoo?
Scende l'acqua, scroscia l'acqua
calda, fredda, calda...
Giusta!
Shampoo rosso e giallo, quale marca mi va meglio?
Questa!
Schiuma soffice, morbida, bianca, lieve lieve
sembra panna, sembra neve.
[parlato]: La schiuma è una cosa buona, come la mamma, che ti accarezza la testa quando sei triste e stanco: una mamma enorme, una mamma in bianco.
Sciacquo, sciacquo, sciacquo.
Seconda passata.
Son convinto che sia meglio quello giallo senza canfora.
I migliori son più cari perché sono antiforfora.
Schiuma soffice, morbida, bianca, lieve lieve
sembra panna, sembra neve.
[parlato]: La schiuma è una cosa pura, come il latte: purifica di dentro. La schiuma è una cosa sacra che pulisce la persona meschina, abbattuta, oppressa. È una cosa sacra. Come la Santa Messa.
Sciacquo, sciacquo, sciacquo.
Fffffff... Fon.
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Altre recensioni
Di Il Poletti
"La vera rivoluzione, secondo Gaber & Luporini, è riuscire a 'mangiarsi un'idea.'"
"La libertà non è avere un’opinione, la libertà è partecipazione."
Di Owen56
Gaber fende due arti complementari come teatro e musica in modo peculiare e accattivante.
La libertà non è star sopra un albero... Libertà è partecipazione.