Chi è il Signor G? O meglio, cosa può essere?
Il Signor G è un personaggio che già dalla nascita possiede un carattere, una coscienza, un pathos. Il signor G nonostante sia in fasce tra le mani accoglienti e sprezzanti degli astanti della stanza n. 132 è già cresciuto. Il Signor G ha già vissuto, ha fatto le sue scelte, giuste o sbagliate che fossero, ha scansionato i corpi di coloro che sono costretti a vivergli intorno cogliendo i fattori rilevanti dei caratteri e delle anime. Ha anche profetizzato una sua fine.
Nasce in un tripudio di fiori, di voci compiacenti sull'aspetto fisico, velleitarie ipotesi di somiglianza e complimenti ipocriti dispensati anche dal più oscuro parente, quello che si fa vivo solo nelle occasioni di rilievo, ossia nascite, matrimoni e funerali. G comincia a percorrere la strada della sua crescita che lo porterà a confrontarsi con ciò che gli offre il mondo, avvolgendosi volontariamente in una pellicola di pessimismo che gli farà da fedele scudiero fino al giorno del suo appassimento. Inizia anche a programmare ipotesi su una propria collocazione nella società. Pesante il rovello: da che parte stare?
Con uno spiccato senso della misura cerca di immergersi nella sua dimensione ottimale o, per quanto possibile, in quella che più gli è congeniale. Non è facile sganciarsi dal fittizio interesse degli avventori della sua vita. Gente che appare impegnata al suo futuro intercalando le parti di vodka da versare in un cocktail tra i possibili progetti per l'avvenire. La razza umana che gli circola intorno non è poi una cosa buona o ciò che si aspettava di incontrare. Tenta di divincolarsi dalle spire del successo, quello falso, ottenuto con metodi abbietti o comunque senza lo sviluppo delle proprie facoltà. Peccato che debba poi cedere il passo accusando ironicamente il suo porco mondo, accorgendosi con fin troppa lucidità che si tratta di un globo di plastica, colorato da fiori di carta e gente di merda.
Al signor G sta stretto anche l'amore, quello che appare dolce e spensierato durante il fidanzamento per poi trasformarsi in un peso di affetto forzato appena si varca il confine del matrimonio. Troppo pessimismo però, caro Signor G. Non che tu abbia torto, per carità ma non hai ragione su tutti i fronti.
Forse la natura è l'unica scialuppa di salvataggio. Va alla ricerca della felicità affidandosi ai variabili umori delle stagioni, sperando che queste ultime lo stiano a sentire o gli indichino la strada per ritrovare il tempo utilizzato male. Prova a dialogare con un albero e si rende conto dell'inutilità della sua vita, quella dimensione di cui ormai ne ha abbastanza. Nel capitolo più bello della sua esistenza si appoggia al limite di un fiume e mentre contempla ciò che potrebbe realmente emozionarlo, il lento scorrere dell'acqua, vede passarsi davanti ciò che ha vissuto e tirando le somme, forse frettolosamente, tenta di suicidarsi. Qui, con una efficace padronanza del controllo dei nervi e un necessario ottimismo, appare alla ribalta la sua coscienza. Quella luce interiore che lo sprona a riflettere, ad analizzare gli errori passati che magari non hanno del tutto nuociuto. G, dopo qualche tentennamento decide di mandare l'estremo progetto a data da destinarsi o al più oscuro oblio, consolandosi con ciò che gli resta, il sorriso dei figli o le curve della moglie.
Alla fine, il Signor G, convinto di aver compreso il senso della vita, ritorna nella stanza n.132 e decide di morire alla stessa ora in cui vide i sorrisi distorti dei familiari, stampati sui quei faccioni che si ritrovò al concretizzarsi delle pupille. E qui, tra le pareti fredde dell'ospedale, in un vortice che spazia tra il grottesco e il farsesco lascia meno di un pugno di mosche ai parenti in terra e si compiace delle loro reazioni, divertendosi, come nella nascita a cogliere quelle punte di ipocrisia che trapelano dai sentimenti di coloro che lo ricordano come una brava persona.
All'alba del decennio più tagliente della storia moderna del nostro Paese, un geniale Giorgio Gaber, con la collaborazione del non meno bravo Sandro Luporini, presenta una forma di spettacolo innovativa, denominata "Teatro canzone", caratterizzata da un inanellamento di canzoni e monologhi in prosa che alimenterà i prosceni dei maggiori teatri italiani per i trent'anni a venire. Nella stagione teatrale 1970-71 presenterà il suo personaggio, "Il Signor G", con cui dialogherà e condividerà introspezioni e idee, mentre in quella successiva si dedicherà alla descrizione de "I borghesi". La discografica Carosello nel 2003 ha provveduto a unificare la summa delle due rassegne in un unico, bellissimo album che sancisce l'inizio della straordinaria avventura teatrale di Gaber. Opera, veramente, di rara bellezza.
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