Il quindicennio '70-'85 è stato un periodo importante per molti, ed anche Gaber infila qui, in meno di 10 dischi, il meglio del suo repertorio. Ad una analisi più attenta e soprattutto molto soggettiva, i capolavori del nostro cantautore più commediante li ritroviamo sparsi quà e là in diversi spettacoli. Spettacoli, album di teatro-canzone, che è una idea nuova e coraggiosa, ma si inserisce facilmente tra gli altri LP veri e propri dei cantautori tradizionali, quelli che si dividono tra sala di registrazione e concerto, e non conoscono l'alchimia di creare un prodotto proprio dal vivo.
Gli album sono registrazioni quindi di spettacoli, di momenti di tour della stagione teatrale, questo comporta pregi e difetti: si capisce che a Gaber stanno strette le strofe di una canzone, deve recitare, parlare, cambiare anche gli stessi brani a volte, sono sicuro che chi ha assistito ad un suo spettacolo conserva il ricordo con gelosia ed amore. Per me, che ascolti gli LP, vengono a galla spesso ascolti difficili: l'obbligo di una lunghezza estrema (quella di uno spettacolo) in genere il quadruplo di quella di un lp, l'alternanza di canzoni e di prose e la necessità di spezzare la tensione e badare a tenere viva l'attenzione del pubblico, utilizzando tanto brani quanto strofe di 'stacco', di pausa.
L'ascolto dei dischi a casa, oltre che un pò contrario alla natura degli spettacoli curati da Gaber e Luporini, non risulta per questo facilissimo, per farla breve: non parlatemi de 'Il signor G.' o 'Far finta di essere sani' (che tra l'altro esce come LP registrato in studio), come di opere memorabili. Io apprezzo 'Dialogo tra un impegnato e un non so', e soprattutto l'unico episodio davvero sensazionale di questo progetto, che (lo dico prima che iniziate ad incazzarvi), si lascia alle spalle tantissimi momenti belli e brani pregevoli ed indimenticabili, solamente nessun album raggiunge la stessa finezza di quello che in quegli anni facevano i primi della classe. Datemi addosso, se volete, per me Gaber (come anche Lolli), sono i primi, i migliori, in una classe 'seconda' di quell'arte di parola italiana, subito sotto al podio, insomma.
Nessun album, dicevo, tranne 'Polli di allevamento'. In cui ci godiamo per prima l'omogeneità dei brani, che prima ancora di riguardare il livello di cura nei testi rende bene per l'idea dell'album: l'attacco al conformismo, già ostico a Gaber evidentemente in molti dei primi lavori teatrali ('I borghesi', 'Dialogo...'), un ipotetico prologo è il brano che apre la stagione teatrale precedente, cioè 'I reduci', dove un occhio malinconico si rivolge a quei momenti, quei movimenti, vissuti insieme, nella tenera illusione di cambiare il mondo per sempre. Un'illusione sconfitta appunto dal conformismo e dal consumismo, che hanno divorato l'amore e l'impegno dei giovani, trasformandoli, appunto, in dei 'polli di allevamento' che 'odiano ormai per frustrazione e non per scelta'.
Il livello dei brani è sempre alto, sia nei soliti episodi ironici (Chissà nel socialismo; Salviamo sto paese), che nell'attenzione all'attualità, all'uomo contemporaneo e le sue paure e manie (La pistola) o nell'introspezione (L'esperienza).
Ma c'è soprattutto l'impegno: la disillusione nei confronti delle rivoluzioni mancate (Eva non è ancora nata), il nuovo conformismo (Guardatemi bene), ahimè che era ancora ad uno stato infantile, e sarebbe destinato a crescere ed a inghiottire altre generazioni, prendendole in pugno tramite moda, tecnologia, ma anche alienazione sociale, mancanza di fede, di umanità, indifferenza.
Il bilancio di chi segue i nuovi movimenti giovanili non è positivo: il resoconto è che il mondo non cambia, la storia è destinata a ripetersi, se la possibilità di sovvertire c'era stata davvero, era appartenuta ad un momento finito, a visi invecchiati, coscienze cambiate. Questo non riguarda solo 'Timide variazioni', ma anche il confronto generazionale, dal punto di vista anche famigliare ed educativo ('I padri miei', 'I padri tuoi').
Raramente si parla di brani minori, sono tutti molto densi, non rifiutano quel minimo di introspezione, e soprattutto non risparmiano in rabbia: in 'Guardatemi bene' capiamo ancora più che in altri brani (I padri...Polli di allevamento), che il processo a cui Gaber sottopone i giovani li vede uscire distrutti, smontati, smascherati, tutti da rifare. L'anticonformismo sfocia in una degna incazzatura, che in realtà permea buona parte dell'album, ne 'La festa'. Ma quello che ci sembra è che i brani facciano quasi tutti da prologo, come per una escalation, per portarci a quello che è l'epilogo, ma allo stesso tempo il centro ideale del disco, uno dei migliori brani di questo esperimento teatrale di tanti anni, cioè 'Quando è moda è moda', che a sua volta potrebbe essere considerato un prologo a 'Io se fossi Dio' della stagione seguente, se non fosse che ne è una versione più lucida, più sintetica e mirata, forse meno violenta, ma cruda, e sempre cosciente, curata nello scegliere gli obiettivi, che sono più generici rispetto al brano della stagione successiva.
Al gran polverone ed alle censure di 'Io se fossi Dio' io preferisco 'Quando è moda è moda', che è lo specchio di tanta produzione di teatro-canzone. Come preferisco 'Polli di allevamento' a qualunque altro lavoro di Gaber, che amo molto, ma che nei suoi pur prolifici e amati lavori precedenti aveva mancato il classicone. Non per questo gli altri episodi, dal 'Dialogo...' al 'Teatro di...', sono ignorabili, anzi, tutto il contrario.
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