Pubblicare, nel 200x, un cd ha già le sue maledette complicazioni. Pubblicarlo, poi, con una bella dicitura sotto che ci dice a caratteri freddi 'PIANO SOLO' equivale a fare un bel discorsetto all'acquirente.

Equivale a dire: "senti, lo so che due scaffali più avanti c'hai il meglio del meglio dell'elettronica, il meglio del rock masterizzato a New York, il più scassatimpani del Metal, il più commerciale del pop. A me però piace carezzare un bestione bicolore da qualche buon quintaletto, non ci posso fare nulla, mi piace e lo faccio. Sono così, sono un capellone che pigia i tasti e che non ne ha voluto sapere di batterie, chitarre e bassi. Però zitto non ci sto, la mia la devo dire. Comprami dai".
Credo, più o meno, sia questo che avrebbe voluto dire Giovanni Allevi ad un suo potenziale acquirente in un negozio di musica di qualche ipermercato affollato di sabato pomeriggio. Questo fu almeno quello che mi disse la sua silhouette capellosa sulla copertina del Cd quando lo comprai in un ipermercato affollato di sabato pomeriggio.

Il suo nome l'avevo già sentito. Capii dopo di aver sentito anche la sua musica, in qualche spot della BMW. Feci qualche ricerca.

Giovanni Allevi c'ha la faccia della pubertà anche se in dirittura d'arrivo per gli anta. E' uno che, non senza una bella manciata di orgoglio, dice di aver girato il mondo, di aver conquistato il Blue Note con una chiamata, di essere un filosofo della musica, di essere il Mozart del duemila, in quanto a presentazioni non scherza mica. Però immagino che dire alla mamma: "Mamma, voglio fare il pianista e voglio sfondare nel mondo della musica musicale" qualche preoccupazione ai genitori l'abbia destata. Però ce l'ha fatta, è arrivato a conquistare una isoletta di mercato semivuota, occupata solo dal coinquilino Einaudi, e ad avere le sue soddisfazioni in una piazza così penosamente satura come quella italiana. Musica a parte, un plauso a lui va solo per questo.

No Concept nasce da idee. La sua musica nasce dal volerle buttare fuori, queste idee. Il titolo ci dice quindi un'altra cosa, ci dice che queste idee non hanno un filo logico, non sono collegate, e chi le collega è stupido.

L'unico rapporto deve essere tra loro e l'ideatore, singolarmente, con una tecnica scorrevole, tranquilla, rilassante quanto basta.

Perché produrre un disco PIANO SOLO, e voler offrire pure il proprio mondo, comporta il dover prestare moltissima attenzione alla composizione, sempre in bilico tra il new age e il sottofondo da camera. Il rilassante-quanto-basta viene dunque dal fatto che, vuoi o non vuoi, tre quarti d'ora di pianoforte di certo non ti "caricano a palla" o ti "vitaminizzano" come un altrettanto sano buon Rock. Allevi pone dunque i giusti accenti sulle giuste parti, e quello che ne esce sono canzoni. Vere e proprie. Con uno schema pop che fa quasi sorridere rapportato al genere, comprensive di Introduzione, Strofa, Ritornello, Variazione e così via, e con un ritmo quasi orecchiabile che mi è capitato più volte fischiettare e sentir fischiettare.

Le tracce sono tredici, le contaminazioni duemila. Allevi ha studiato e si sente, la buona dose di classico non manca ma l'anima resta sempre di un jazz brioso, ottimista. E quello, il jazz, non lo impari proprio da nessuna parte. O ci nasci o ne muori senza.

Il mondo delle Idee dell'Allevi filosofo è dunque ora triste ora allegro, ma sempre con un finale sorridente, sia esso di battuta, sia esso di canzone.

'Go with the flow' scivola contenta tra i timpani, dolce, delicata. E' la prima, degna apertura di disco, una canzone che non lascia niente, come tutte le altre di Allevi. Arrivano, le senti, ma poi vanno via. Se ci ripensi, ti viene in mente solo una manciata di note, messe bene in ordine, ma che non ti dicono più niente, che hanno perso il loro vero ordine di creazione, il loro intento. Non più idee, ma note.
Terza, arriva 'Come sei veramente'. Sottofondo musicale di uno spot. Di un'auto. Bella ma che non merita certo una canzone. Solo una canzone può dire chi è veramente qualcuno, le parole non ci riuscirebbero mai, non ci sono mai riuscite. La musica l'ha fatto, altre volte, ora si è ripetuta.

Sarà che forse ero stanco, sarà che forse ero depresso, ma in una sera di giugno, di quelle con la finestra aperta, con il mondo intero fuori che faceva casino e con me da solo che stavo dentro, arrivò. Piansi. Non ce ne erano assolutamente i presupposti, le condizioni, ma premette qualche assurda combinazione di tasti programmata che fece scendere due lacrimoni grossi e caldi. Arrivò. L'idea di Allevi mi si piantò dinanzi fulmineamente, sfuggendo via a fine esecuzione. Mi disse come ero veramente. Senza se e senza ma. Come l'arte può provare a fare, ma come solo la musica ci riesce.

E così è il disco. Sono note, tredici, su tasti, ottantotto. Qualcuna di queste si mette a giocare con un qualche meccanismo strano e naturale che è dentro di noi. Qualche altra se ne fotte di noi, di Allevi e del mondo. Sta lì e basta. Qualche altra poteva starsene pure a casa.

Ho messo quattro ad un album che forse non lo meritava. Ma Allevi può toccare e non toccare, è una combinazione del tutto casuale, al di là della tecnica e di tutto il resto. Io sono stato schiaffeggiato in pieno volto da qualche vibrazione impertinente del bestione bicolore prima citato. Magari venissi schiaffeggiato spesso così. E ho messo quattro. Molti forse non saranno toccati, non forniranno la chiave giusta, per qualche motivo, qualunque esso sia. E mi diranno che sono un imbecille.

Ma io, il mio schiaffo l'ho avuto.

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