Ci sono tanti modi per sputtanarsi, ma almeno bisognerebbe tenere salva la dignità. Qui si sputtanano tutti, nessuno escluso. Già il titolo, "Il Mio West" (mio? peccato di presunzione o semplice "zingarata" toscana?), e poi il cast. Vedere il nome di Leonardo Pieraccioni prima di quello di Harvey Keitel e David Bowie fa gelare il sangue. Metteteci poi anche il carico da undici, Alessia Marcuzzi, si ha proprio l'idea di che troiaio sia diventato il cinema italiano. Ma Cristo Santo, ma anche Keitel e Bowie ad accettare certi ruoli, certe particine da oratorio, ma avevano così tanti debiti da dovere accettare qualsiasi offerta di lavoro pur di mantenere casa, famiglia, macchina e quant'altro?

Ricapitoliamo: il buon Pieraccioni, dopo i 60 miliardi d'incasso del "Ciclone" (a tutt'ora il suo film migliore, il che non vuol dire che sia bello) e i 70 di "Fuochi d'artificio", aiutato da quel pacioccone di Vittorio Cecchi Gori, decide di compiere il salto di qualità, di realizzare insomma, un film che lo proietti nel mercato europeo. Ecco, già Pieraccioni nel mercato europeo fa ridere, se poi, come in questo caso, si ha addirittura la presunzione di riscrivere le regole del genere western (genere, tra l'altro, bello che morto da più di trent'anni), si cade davvero nella barzelletta più totale. Vuole fare le cose in ordine Leonardo, tanto che lascia il timone della regia al più esperto (vabbè, ho esagerato...) Giovanni Veronesi.
Eccolo qua dunque il salto di qualità: una storiella moscia moscia, senza logica e senza decenza, dove, per quasi tre quarti d'ora non succede nulla, salvo poi rigenerarsi verso la fine, per poi ripiombare nel vuoto più assoluto. Il West made in Toscana, con molte vacche e poca azione. Pieraccioni interpreta Doc (eh sì, quanti bei rimandi a "Sfida all'Ok Corral"), che sbircia le tette della Marcuzzi (bellissime, la cosa più bella di tutto il film, peccato duri meno di mezzo minuto!), poi arriva suo padre, qualcuno vuole ammazzarlo, e via così. Poteva anche essere un'operazione carina, sommariamente divertente, se non per la spocchia con cui Pieraccioni si prende terribilmente sul serio, occhi sgranati e faccia da pesce lesso, attraverso quasi due ore di film senza mai cambiare espressione, senza nemmeno lo sforzo di inventarsi una gag (ma anche la più scalcinata e abusata, niente, nemmeno quella!), e copia.

Copia senza ritegno, perchè lui è convinto di essere un autore, di essere una star internazionale. Copia da John Ford, da Clint Eastwood (plagia il mito dell'eroe solitario, senza lo spessore di Eastwood e nemmeno un briciolo di autoironia), il Kevin Costner di "Balla coi lupi", e, tanto per non farsi mancare niente, ecco servito, su un piatto d'argento, il plagio ai danni del compianto Sergio Leone. Sullo sfondo, ma neanche tanto, passano veloci come saette un Harvey Keitel che pare più spaesato di una cernia sull'Appennino (dev'essere dura passare da "Taxi Driver" a Pieraccioni!), e un David Bowie smagrito, pietoso e penoso, l'unica speranza è che canti, potrebbe pensare qualcuno. E infatti canta. Ma non intona "Starman" o "Rebel Rebel", si diletta con la più insipida "Glory Glory Hallelujah". Ecco, lì ti cade anche l'ultimo mito, e vorresti stramaledire Pieraccioni e tutta la sua stirpe, razza di toscanaccio incapace che si crede un autore.

Curiosamente, e qui è un discorso più generale, a cadere in questi equivoci sono quasi sempre i toscani (cinematograficamente parlando, ovviamente). Lo stesso Francesco Nuti, dopo anni di commediole all'italiana, si credette autore, e sbattè le corna violentemente tanto da cadere in depressione, a causa di quel pastrocchio (d'autore, appunto) che fu "Occhiopinocchio". Lo stesso successe a Roberto Benigni, con "Pinocchio" prima e "La tigre e la neve" poi ha voluto ergersi al rango d'autore salvo rimediare sono figuracce a livello internazionale. Ecco, questi artisti, in verità modesti (ma Benigni un tempo era due spanne sopra Nuti e Pieraccioni), baciati un pò per meriti artistici e più per culo dalla fortuna, vogliosi di esportare la propria arte anche all'estero, non riescono mai a combinare nulla di buono. E ci sarebbe da riflettere. Perchè una volta l'Italia esportava grandi film tanto da venire lei scopiazzata dagli americani ("I soliti ignoti" fu vittima di remake made in Usa per quasi un ventennio, "Il sorpasso" ispirò "Easy Rider", solo per dirne due...), mentre oggi non esportiamo più nulla (neanche a livello di fiction, tranne qualche rarissimo esemplare) e l'unica cosa che mostriamo al resto del mondo sono gli sputtanamenti pieraccioniani o le svolte buoniste benigniane?

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