In certa musica degli ultimi decenni, abbondano gli esempi di elettronica applicata a strumenti solisti, duetti o piccoli ensemble; molto più rari sono i casi di risorse elettroniche integrate a un'intera orchestra sinfonica: è quindi di particolare interesse questo cd di Giovanni Verrando, che raccoglie appunto quattro recenti lavori orchestrali con utilizzo di elettronica.

Il tratto comune a questi pezzi è l'abolizione della magniloquenza e della retorica orchestrale a favore di un linguaggio asciutto, non discorsivo, che per di più affianca agli strumenti tradizionali sonorità digitali trasformando l'orchestra in un ibrido acustico-elettrico, con maggiori o minori gradi di interrelazione.

"Sottile", per esempio, brano del 1996-97, mette in campo un'orchestra da camera, un organico quindi ridotto, su cui si innestano «il più discretamente possibile» i suoni elettronici. Questi intervengono con maggior insistenza nella seconda parte del brano, a moltiplicare sonorità inconsuete prodotte dagli archi. Lo stesso accade in "Agile" del 2004; dura anch'esso 12 minuti, è anch'esso diviso in due parti e la seconda, guarda caso, ha per sottotitolo 'heterophonic': suoni spuri, chiamiamoli pure glitch, vengono accolti nel tessuto orchestrale.

Si tratta di un passaggio importante, con l'orchestra non si scherza: è il banco di prova di chiunque voglia fare il compositore, da grande, e chi vuole affrontarla deve dire qualcosa di nuovo. Per Giovanni Verrando (nato a Sanremo nel 1965) l'ibridazione elettronica è il passo necessario per «l'individuazione di uno stile».

In "Triptych" per grande orchestra del 2005-06, il salto del fosso è completo: il suono orchestrale è sporcato da effetti, rumori, disturbi, come se l'orchestra si trovasse seduta non più in un auditorium ma in una fabbrica o in un laboratorio; nel secondo episodio del pezzo, interviene anche un basso elettrico dal timbro metallico (mentre la prima e la terza parte sono più riflessive) e sembra quasi di ritrovare sonorità alle quali siamo più abituati rispetto alla contaminazione tra suoni tradizionali ed elettroacustici che pervade questo brano (15 minuti la durata). I rumori bianchi di filtering nel primo episodio, scrive Verrando sul suo sito, «sono liberamente tratti da due suoni dei Pan Sonic, come esplicito omaggio alla loro letteratura rumoristica».

Vi basta? Se ne volete ancora c'è "Polyptych", l'ultimo brano del cd, per tre gruppi orchestrali elettrificati (del 2007, durata 11 minuti). Il pezzo più astratto del cd, con massiccia presenza del noise, come se fosse l'elettronica a condizionare il suono orchestrale e non viceversa. Ipotesi plausibile, se è vero come scrive l'autore (a onor del vero, a proposito del brano precedente, "Triptych") che certi appunti elettronici vengono in seguito trascritti per gli strumenti acustici, che dunque in certi casi la produzione elettronica del suono spinge come conseguenza l'autore a «sviluppare un'orchestrazione specifica e adeguata».

Così l'ascolto di questo cd è un'esperienza notevole, che mi fa accogliere Giovanni Verrando con un sonoro Benvenuto!: sì, tra i compositori da amare.
 

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