Nato a Napoli nel 1964, De Simone vive e lavora alla periferia della metropoli partenopea. E' un pianista, compositore e musicologo italiano, ed è uno tra i principali esponenti delle avanguardie musicali legate alla musica di frontiera. Profondamente influenzato dagli incontri con Luciano Cilio e con John Cage, ha collaborato con alcuni dei più importanti compositori contemporanei, tra cui Pietro Grossi, Giuseppe Chiari, Ludovico Einaudi, Tuxedomoon, Michael Nyman e numerosi altri protagonisti della musica italiana e internazionale. "Figlio di tutti e di nessuno stile, nato dalla classica ma proiettato altrove da sé. Disperso, dissipato, ma ancorato a questo Novecento che fatica a lasciarci dopo aver esplorato ogni frammento di nota. La sfida, e la deriva, del musicista sono tra i solchi. Una caccia al tesoro da affrontare ascolto dopo ascolto"

L'ultimo lavoro di una carriera ricca di spunti tanto in forma sonora tanto in forma di prosa, è "Ai piedi del monte", prodotto da Hanagoori music e KonSequenz. E' un album che ricrea un clima conciliante, di delicata astrazione dal quotidiano, in luoghi dove spiriti affini possano ritrovarsi entro calde mura di salda memoria. E' un disco atmosferico, confidenziale. L'ambiente che lo accoglie viene travolto da un equilibrio di forme intime e bucoliche. Si ascolta un musicista in gioco, con le forme musicali e i quadretti territoriali più cari e vicini. Si osserva un uomo ricomporre le proprie radici in un delicato intreccio di persone, luoghi, suoni.

La prima traccia, "Fabula" è un punto di non ritorno nella consapevolezza d'un ascoltatore. Si ha l'impressione di levarsi e librarsi su piani semantici d'una salienza inedita e incoraggiante.

L'ascolto del disco è una ricerca d'identità spirituale, e questo appare evidente nella contrapposizione tra il sussurato crepuscolo di "Ave", un delicato blu notte pianistico che accena un disvelamento in potenza e che prepara all'estasi di "Ultima prece", cielo lindo di lontanti pomeriggi primaverili, bambini che corrono più innocenti della terra che calpestano.

"Il tramonto e Donizetti" è un sentiero poco battuto, nonchè il vertice compositivo dell'album. Un percorso che si apre, avvolgente, passo dopo passo. Il sole, accennato nel tramonto del titolo, si abbassa e si leva, come sponda umorale d'un risveglio incerto, nei giorni in cui la vita si fa greve senza che la musica (sponda per eccellenza) diventi necessariamente grave, se si ha la consapevolezza/autorevolezza di trasferirla in stanze acustiche, nella mente in bufera.

Il "Canto dell'Arco" vibra spirali di suoni tesi ad un vortice di vertici infinitesimali, attraverso la peculiare ed incontaminata sonorità gioiosa della spinetta.

L'album si chiude con "La Verna" è una sperimentazione calda e sinuosa, un'estasi mistica.

Il suono di campane finale sublima un disco di passioni intime, il loro eco si diffonde nell'aria accarezzando l'orizzonte, il tramonto, e, se può ascoltarlo, Donizetti.

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