Il male non è soltanto di chi lo fa: è anche di chi, potendo impedire che lo si faccia, non lo impedisce. Tucidide.

L'essere umano, anche se su questo termine ci sarebbe da discutere, ha creato svariati concetti affascinanti, ma ne ha anche sviluppati altrettanti sanguinari, disumani e orripilanti come la guerra.

Un libro unico. Un pezzo di Storia realmente accaduta, trasfigurata dall'autore che si è trincerato con il nome di Italo Serri.

- Serri! - gridò la voce di Reitani mentre il medico si slanciava correndo verso il capitano, che s'intravvedeva nella cortine nerastra. - Sei ferito? - urlò Serri, tentando di farsi intendere nonostante le altre scariche di mortaio che piombavano fra i pezzi. - No, corri al quarto pezzo, qualcuno è ferito! - rispose il capitano e gridò subito: - Dell'Alpe, munizioni!”.

Bedeschi amava definirsi: alpino, medico e scrittore. Ufficiale medico della Julia, attraversò il dramma dell'Armir, trasposto in “Centomila gavette di ghiaccio”, il suo libro più autorevole.

Serri ricoprì il petto, si alzò. - È morto – disse agli artiglieri che lo guardavano stupiti senza aver ancora capito. - È morto – ripetè a se stesso, preso da una improvvisa rabbia impotente; e passò alla seconda barella.”.

Un'Opera letteraria da leggere, piuttosto che tentare di descriverla. Un'esperienza corale, vissuta dall'intera divisione Julia, insieme ai suoi muli. Ogni pagina, parola, pensiero e situazione, è una staffilata. Tutto è soverchiato dal dolore, da fame e gelo, in grado di spezzare carni e ossa, vene e vite. La morte diviene quasi un alleviamento degli indicibili patimenti che spesso oltrepassano i limiti di sopportazione umana.

La colonna marciava

affondando fino al ginocchio

nella bianca vastità

del proprio sepolcro

Ci si sente quasi trafitti da ogni evento narrato, dall'inizio alla fine.

- Nessuno esce più! Alle stazioni è vietato affacciarsi! - ingiungevano le voci imperiose; - chiudere i vetri dei finestrini! - Che roba è questa? - si cominciò a gridare dall'interno dei vagoni. - Non siamo bestie! - Aprite! Aprite! - urlavano ormai gli alpini riabbassando i vetri e scuotendo invano le maniglie. - Siamo in Italia!”.

Si dovrebbero sintetizzare i drammi vissuti, auspicandosi che non si verifichino mai più. Sempre in agguato è la guerra, anche in altri contesti. Sublimerà solo quando avverrà una rivoluzione nel DNA “dell'essere umano”. Si! Ma quando? Doveroso segnalare le suggestive quanto drammatiche fotografie. Ne citerò alcune.

Pendici del Golico: “la meglio gioventù - che va sottoterra...”.

Uno degli scavi per ricavare i diciassette rifugi sotterranei.

“… i tronchi … subito diventavano colonne di sostegno e architravi dei futuri alloggi ...”.

Ottobre '42, zona di Kuwschin, presso il Don. La cavallina del capitano Reitani alla mensa ufficiali.

Gli artiglieri alpini della tredici dividono il loro rancio con i soldati russi prigionieri.

“Gli uomini erano ciechi, muti, vivi solamente per il proprio dolore: la vita aveva principio e limite unicamente nel passo.”.

Dedico questo scritto a mio nonno, che non ho mai conosciuto. Aveva i denti incrinati dal freddo, raccontava di avere avuto le braccia congelate, ma una contadina russa, gli salvò la vita ricoverandolo nella sua Isba. Del suo Battaglione, che fu inviato in Russia, solo due ritornarono a casa.

Uno, era mio nonno.

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