Ci sono dei dischi che vanno oltre il loro valore. Ci sono dei dischi che evocano pomeriggi invernali, che hanno l’odore di un cappuccino, che dopo una sola nota torni indietro nel tempo ai pomeriggi passati a ripetere Diritto Pubblico e gli Articoli della Costituzione (di sti tempi peraltro lo dovrebbero fare un po’ tutti). Ci sono dischi che anche tra vent’anni ti ricorderai quando li hai ascoltati per la prima volta e quando li hai comprati; ci sono dei dischi di cui sai tutto... E ci sono dischi che sanno tutto di te... “Venere” è uno di Quei Dischi.

Anno 1998: uno studente fresco di maturità presa con un un quantomai profetico 37 si appresta a varcare le soglie dell’Università.... Scienze Politiche presso la Facoltà Cesare Alfieri di Firenze (Io volevo fare il Dams a Bologna ma questa è un’altra storia.....). Quell’anno, quello studente che poi sarei io, conosce degli studenti fuori sede appena trasferiti dall’Abruzzo, rispettivamente Pescara e Mosciano S. Angelo (TE); di questi due, soprattutto uno è appassionato di musica e capita così che gli faccia scoprire un gruppo, i suoi concittadini Giuliodorme, e il loro album d’esordio, “Venere”.  Dal titolo ti aspetteresti un elogio della bellezza eterea, delle atmosfere rarefatte alla Bat For Lashes... Invece niente di tutto questo....

Il disco, su un impianto sonoro minimale e sufficientemente distorto, è un continuo grido di dolore, una ferita insanguinata che non si riesce a tamponare, una crudele seduta di autoanalisi, in cui c’è tanta rabbia ma anche tanta – tantissima – poesia. Un disco in cui regnano l’assenza, l’abbandono e la perdita; dell’amore ("Certe notti ti sento sempre di più un rumore che assomiglia al vento ma che sembri tu che mi vieni a cercare che mi vieni a scordare ..Non sei tu.."), della ragione ("Mi hai reso vecchio senza più forze la vista a nulla le gambe storte prima o poi tu mi farai impazzire"), della lucidità (“Le colombe starlight” compagne di un sintetico viaggio in macchina); se il tradimento visto dalla parte di chi tradisce “é colpa sua, la sua dolcezza, più forte del rimorso, molto più della mia volontà”, la paura è che un amore diventi abitudine (“mi sento inutile che potrei essere per te un'abitudine come un rimpianto”); assistiamo poi in maniera quasi cinematografica alla lenta fine di una storia (“ma non eri tu che dicevi sai non ci sarà nessuno più nessuno te lo giuro...no parole che si dicono promesse che si fanno io muoio ancora e tu che stai facendo tu te ne stai fregando..no questo è morire”), ma è in “Nulla”, una dolorosa resa dei conti con il nostro io, che si tocca forse l’apice emotivo del disco (il testo intero lo posto in fondo). L’unica traccia che apre uno spiraglio all’ottimismo è la quantomai Beatlesiana “Goodbye”, che racconta di un amore sincero e limpido tra Nick e Maggie (“Maggie prima o poi tu vieni via con me e il resto è una bugia e il resto è colpa mia non torneremo mai”).

Questo a grandi linee è “Venere”; questo il disco che per tutti gli anni dell’Università mi ha tenuto costantemente compagnia, a cui ho confidato le mie gioie e i miei dolori, con cui ho condiviso molti dei momenti più significativi della mia vita, come si fa con un amico diretto e sincero. Non so se sia per la musica italiana sia un disco da 5 stelle (i Giuliodorme erano comunque nel giro di Silvestri e Gazzè che non sono esattamente gli ultimi arrivati), so solo che per me è uno di quei dischi che se dovessi naufragare su un’isola deserta vorrei con me. Sarà il tempo che passa, sarà la nostalgia, saranno i ricordi.... Magari sì... Ma soprattutto c’è una musica e ci sono dei testi scritti col cuore e cantati di gola che ad ogni ascolto continuano a lasciarmi qualcosa di nuovo, a mostrarmi un particolare a cui non avevo ancora fatto caso.

NULLA

Vorrei poter sparire
non esser nato mai
spaziare come un'anima vagare
guardare il mondo stando attento
a non caderci su
ma sono un buono a nulla
questa è la verità
un cuore che si scolla
una natura morta
che nessuno appenderà
Nulla..
davanti e dietro me
il più profondo niente che c'è
Nulla
Guarda la mia faccia
cosa ci vedi su
un vuoto desolato senza braccia
il tempo che non cambia
ma che complica di più
Nulla...
davanti e dietro me
il più profondo niente che c'è
il vero inferno sai è non perdonarsi
Mai
vent'anni oppure cento
che differenza fa
si può morire e spegnersi vivendo
il vero inferno sai
è non perdonarsi
Mai

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