La prima stagione di 1992 si può condensare in un’unica, imbarazzante scena. Niente paura, non è uno spoiler: parliamo di tre, quattro minuti del tutto irrilevanti da un punto di vista narrativo. Siamo nella quinta puntata, e il pubblicitario Leonardo Notte (Stefano Accorsi) si consulta con Giovanni Rana (Giovanni Rana) per realizzare un nuovo spot sui famosi tortellini. Chi dovrebbe impersonare nella réclame il simpatico portavoce della cucina italiana? Bel dilemma. “Semplice”, dice l’autentico Rana in carne ed ossa, “lo faccio io. I tortellini sono miei, avrò mica paura di una macchina da presa?”. Stacco, inquadratura su una pila di confezioni al centro del tavolo. Tutti prodotti Giovanni Rana, naturalmente. Questa comparsata sottilmente “metacinematografica”, che sembra un po’ la parodia involontaria di alcune memorabili scene viste in The Truman Show (tra le più inquietanti, peraltro, del grande film di Peter Weir), è emblematica di tutta la fiction. Anticipiamo qualcosa: 1992 è una serie a tal punto retorica e inverosimile da perdere ogni credibilità. I contenuti, gli aspetti tecnici e il confezionamento dell’insieme sfiorano il pacchiano. E la stessa vicenda storica, che in una sceneggiatura di questo genere non può essere una mera cornice, finisce tristemente sullo sfondo.

Utile, per comprendere meglio la dimensione di questo flop quasi totale, fare riferimento ad altri prodotti recenti della serialità italiana, tutti realizzati da Sky e accostabili almeno per modalità di produzione. Basta pensare a Romanzo Criminale e soprattutto a Gomorra per rendersi conto di quanto 1992 rappresenti la pecora nera della situazione: e allora o le due serie targate Stefano Sollima sono pregevoli eccezioni, oppure gli autori della fiction basata su Mani Pulite hanno fatto fiasco. La verità, come sempre, sta nel mezzo. Perché tra le serie tv made in Sky, oltre alle gangster/noir Romanzo Criminale e Gomorra appunto, c’è anche la versione italiana di In Treatment (2013). E se l’originale Usa ha incontrato largo consenso, l’adattamento è risultato piuttosto mediocre. In Treatment e 1992 hanno pochi elementi in comunque, eppure non trascurabili: Guido Caprino e la giovane Irene Casagrande, rispettivamente il deputato leghista Pietro Bosco e la figlia di Notte in 1992, sono già nel cast della fiction psicologico/drammatica. Che tra i vari punti deboli aveva proprio la performance di Caprino. La conclusione? Anche 1992 soffre tremendamente di performance poco convincenti. Come se non bastasse, i personaggi sono per lo più banali, piatti, macchiette sempre identiche. Gli autori hanno calcato troppo la mano: i tratti individuali, gestuali ed espressivi dei protagonisti dei dieci episodi sono portati all’eccesso con risultati addirittura comici. Ci sarebbe pure qualcosa di tragico nelle storie personali, nell’intrecciarsi dei destini e nel riaffiorare del passato. Ma questo elemento traumatico e profondo, anche quando ben delineato, passa in secondo piano perché fondamentalmente Accorsi e la sua brigata fanno più ridere che piangere. Non sanno solo di “già visto”, sono proprio caricature di stereotipi. Leonardo Notte vuole essere un po’ il Jordan Belfort della Milano da bere (senza lo charme di Di Caprio), un padre irresponsabile e freddo don Giovanni. Non stupisce che Accorsi abbia contribuito alla sceneggiatura (“da un’idea di”, recita il promo): in ogni puntata c’è sempre un po’ di sesso, apparentemente gratuito e casuale, con protagonista il fu Freccia. Che sembra guardare la vita solo in due modi, con un bel ghigno sardonico oppure con aria perplessa. Bocciato, come prevedibile, Caprino nei panni di Pietro, politico improvvisato dai trascorsi violenti; senza infamia e senza lode Alessandro Roja (il Dandi di Romanzo Criminale), qui ufficiale di polizia Rocco Venturi. Una considerazione doverosa rispetto a questi: c’è l’impressione, fortissima, che i due attori non siano riusciti a lasciarsi alle spalle i soggetti precedenti. Poco male per Roja, comunque discreto nei panni dell’ironico viveur. Non si può dire invece la stessa cosa di Caprino, che, proprio come in In Treatment, cancella buona parte della complessità del suo personaggio con una mimica facciale grottesca ed approssimativa. Incommentabile Tea Falco nel ruolo di Beatrice Mainaghi, figlia tossicodipendente di una ricca famiglia coinvolta negli scandali di Tangentopoli. Biascicare costantemente le parole e simulare l’espressione di una lobotomizzata per buona parte della serie non è sinonimo di realismo, piuttosto rappresenta l‘eccesso, l’inutile “andare oltre” del quale si è scritto sopra. Decisamente kitsch. Più riuscita, tra i protagonisti, Veronica Castello (una buona Miriam Leone), showgirl spregiudicata dalle molte ambiguità e contraddizioni. In un clima di diffusa mediocrità spiccano paradossalmente figure piuttosto marginali: tra le altre, un paranoico ed affascinante Antonio Di Pietro (Antonio Gerardi, anche lui già visto in Romanzo Criminale) e un glaciale Marcello Dell’Utri (Fabrizio Contri). Positivo anche Gianfelice Imparato nei panni del camaleontico onorevole della Democrazia Cristiana Gaetano Nobile, nemesi di Pietro Bosco/Caprino. Ma è davvero troppo poco. I dialoghi sono prevedibili, stereotipati, infarciti di retorica. A volte al limite del non-sense, come nella scena hot (di nuovo!) tra Leonardo Notte e alcune escort – quarta puntata.

Lo stesso concetto vale per il reparto tecnico. Qui ci si limita ad un accenno: il montaggio, volutamente serrato, a tratti diventa inutilmente frenetico. Si possono notare, anche durante scene dal forte impatto emotivo, stacchi senza logica apparente che finiscono con lo spezzare sensibilmente il pathos, attenuando di molto la drammaticità della narrazione. E dire che alcuni spunti della fotografia sono interessanti, nonostante la maggior parte delle riprese sia fatta con una camera a mano. Peccato.

Ridimensionabili i toni entusiasti di chi, alla vigilia della prima, aveva gridato al miracolo riferendosi al nuovo prodotto Sky. Forse abbagliate dalla imponente campagna pubblicitaria, non poche testate avevano rilasciato disamine roboanti: “serie tv coraggiosa e scomoda”, “il tassello mancante tra Romanzo Criminale e Gomorra”. Comprensibile e giustificato il paragone con le due serie di Sollima, la prima in particolare. 1992, però, non ha nulla di coraggioso. Ancora meno di Romanzo Criminale che, pur non essendo un capolavoro, in conclusione presentava amaramente un’Italia in mano a strane lobby e servizi segreti deviati. Qui Tangentopoli diventa una farsa (tragi)comica dalla quale il marcio resta fuori. O meglio in profondità. Intendiamoci, le dieci puntate si lasciano comunque guardare. Ma 1992 resta puro intrattenimento. Ecco il problema più volte accennato sopra: l’autoproclamazione del non verosimile, che qui ha luogo, rende il contesto storico uno spettacolo. E allora l’interesse non sta più nei contenuti morali, nella fedeltà alle vicende realmente accadute o ai personaggi davvero esistiti – che sanno di plastica –, ma in altro. Che non può essere, come si è visto, la qualità dell’interpretazione o lo spessore psicologico dei soggetti che entrano in gioco. Un cortocircuito kitsch. Cosa resta? Non moltissimo. E di certo non saranno in pochi a seguire 1992 fino alla conclusione solo ed esclusivamente per le (tante) scene di nudo con Miriam Leone. Al lavoro del regista Giuseppe Gagliardi manca lo “sguardo dal basso”, la capacità di esprimere dramma ed empatia in modo più genuino. Capacità di trasmettere palpabilmente il sordido e lo schifo. Dove trovare tutto questo? Ad esempio, in Gomorra. Ma è un’altra storia.

scritta originariamente per: http://vitaasociale.altervista.org/1992-secondo-stefano/



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