La mia è stata una simpatica gioventù, colma di memorabili giocate a nascondino nelle campagne trentine, di fantasiose attività ludiche nel giardino di casa mia e di altri ameni avvenimenti.

C’è tuttavia un periodo che non ricordo granché volentieri, vuoi per la fastidiosa età di chi si crede grande ma è – o forse era vero allora – ancora un marmocchio, vuoi per una serie di motivi più o meno condivisibili. Questo medioevo adolescenziale è durato tre anni ed è più generalmente noto con l’appellativo di “Periodo delle Medie”; esso terminò con l’Editto di Promozione: in questo momento infatti gli storici contemporanei collocano l’avvento dell’era del Liceo e, di conseguenza, la fine della preistoria.

Delle Medie non sono molti gli avvenimenti (o le persone) che ricordo volentieri; in genere essi sono peraltro legati a quelle poche persone che negli anni sono rimasti amici o che perlomeno hanno mantenuto un buon rapporto con il sottoscritto.
A titolo d’esempio, teneri ricordi mi legano tutt’ora in una solida amicizia ormai ultradecennale con il buon green manalishi, cui dedico affettuosamente questa evocazione.

Alcune delle persone con cui allora avevo un buon rapporto, negli anni sono di contro diventate delle comparse che si salutano sempre volentieri ma che il destino ha diretto lungo altri binari. Tra queste c’è un ragazzo di origine sarda: un giorno (che non nego possa addirittura risalire all’ultimo periodo delle arcaiche Elementari) decise di diffondere nei walkman o nelle autoradio durante le trasferte calcistiche (a cui prendevo indegnamente parte) nelle gioiose entità comunali del Comasco una musicassetta di un tizio che a quanto pare aveva ed ha largo seguito in terra isolana.

Quel che è certo, è che è durante le Medie che quella cassetta conobbe il periodo di massimo splendore nel nostro imperfetto mondo scolastico, culminato in rappresentazioni al resto della classe, noi pustolosi allineati, la cattedra di fianco.
La cassetta era intitolata “Buffa”; dico “era” perché ormai sia lei che le sue numerose copie di qualità peraltro ridicola saranno disfatte. L’allegro tizio è invece tale Giuseppe Masia.


“Buffa”, risalente al lontano millenovecentonovantatrè, è una simpatica collezione di storie, personaggi, situazioni ed ilari assurdità narrate con inconfondibili dizione e cipiglio sardi. Classificabile certo nel calderone di oggetti vari che si indica con l’epiteto “demenziale” e per cui sinceramente non stravedo certo, “Buffa” presenta invece una irrisoria serialità di fondo, la quale si manifesta ad esempio in melodie che rimangono impresse anche a distanza di anni. Per certi versi, è ciò che può accadere ad esempio per un gruppo sì demenziale, ma tecnicamente valido come “Elio e le Storie Tese”.

Due sono in particolare i momenti memorabili, a mio giudizio; essi si collocano ai primi due posti della variegata scaletta (che ovviamente non presenterò come tale, limitandomi a degli accenni). Il primo dura un minuto scarso ed è un irresistibile rifacimento (leggo ora, neh…) di un brano di Bruce Springsteen: “Corre boy” è un country ironico e coinvolgente che trasuda Gallura.

“Io percorro il Corre boy con le mucche e con i buoi, poi mi fermo un po’ a Gavoi, Corre Boy.”
Viva viva il Corre boy; il Natale con i tuoi e la Pasqua con chi vuoi, Corre boy.”

Il secondo è un geniale omaggio di Masia alle donne della sua terra. In “Donne Di Sardegna” ad ogni paese od ammasso abitato citato viene associata un’improbabile qualità fisica o caratteriale delle sue abitanti; l’effetto sarcastico è peraltro notevolmente accentuato da una buona musicalità ed un arrangiamento curato ed efficace (certo reso vano da registrazioni approssimative, ma tant’è). Non riporto alcuna citazione per non incorrere in errori geografici, ma rimando al video-in-fermo-immagine linkato nella simpatica scheda in basso a destra.

Ciò che segue, tra serio e risibile, è come detto una carrellata di personaggi e di storie. Tra i primi si ricordano Giuliana (il cui antico mestiere è indicato dall’invero scontata rima), il reduce di guerra di “Quando c’ero io” (il cui ritornello – “Quando c’ero io, quando c’ero io, in trincea a fare la guerra, figlio mio” è stato il leit-motiv di un’intera serata in pizzeria. No, dico, un’intera serata, non so se mi spiego…) ed il malcapitato signor Bobbotti, oggetto di insulti perlopiù surreali (Bobbotti, Bobbotti vaffanculo” è in effetti andato avanti a lungo).

Tra le storie, invece, ricordo vagamente (“Buffa” è ovviamente introvabile in rete, mentre la mia copia – consumata – è stata sovraregistrata da tempo. Certo, è possibile acquistarlo on line, ma vivo anche senza, devo dire) le avventure alla conquista di “Chiara” – “una ragazza posata” – e le conseguenze di un’improbabile atto sessuale (“C’ho l’addis” “Affanculo a te…”) narrate in “Addis”. A condimento, tra le altre, compaiono gioiosamente “La Canzone Dell’Ano” (invero simpatica all’ascolto) e “Mano Libera” (“Mano libera per sognare”, diceva Masia…), sulle quali non reputo di vitale importanza soffermarmi.

Giuseppe Masia - del quale ho peraltro scoperto solo oggi, per questa recensione, il volto - mi è tornato in mente poco tempo fa, dopo quasi dieci anni che non ascoltavo più le sue “produzioni” (troppo ridotto il campione di esemplari in grado di meritarsi l’appellativo di “canzone”). A “Buffa” seguì in realtà una seconda cassetta (“Cau e Boi”?), che invero mi colpì meno, anche per via di maggior inserzioni che ora si chiamerebbero di “pubblicità regresso” e forse di una minor spensieratezza.


Questo scritto, e con questo concludo, è in certo senso doveroso: “Buffa” a suo modo è stata una memoria storica di un periodo che, malgrado tutto, fu ma che preferisco sapere remoto nel tempo.

Tre stelle: di più non merita.
Tre stelle: meno non sarebbe giusto.
Mettiamo che è stato un piacevole ricordo – per quanto cosparso di innumerevoli ed illeggibili parentesi e/o frasi incidenti – e siam contenti tutti.

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