Il quarto stato, dipinto a olio su tela (Milano, Museo del Novecento, 1898-1901).
La pacifica marcia di un folto gruppo di braccianti che si avvia a trattare con i padroni. Questo rappresenta il dipinto. Corretto quindi attribuirgli un significato sociale e affermare che i diritti dei lavoratori e le rivendicazioni del proletariato sono al centro del pensiero dell’autore, Pellizza da Volpedo. Tali aspetti sono però già stati trattati in lungo e in largo; io vorrei invece soffermarmi su un tema dell’opera che spesso è ignorato, ma che pure emerge con chiarezza dal quadro, ovvero la questione della parità dei sessi. A tal fine analizzerò in particolare uno dei personaggi.
Lungo è stato il cammino per arrivare a Il quarto stato. Il “nonno” del dipinto è Ambasciatori della fame (1891-1895), nel quale vediamo tre figure, tutte maschili, marciare in primo piano, mentre un corteo si staglia sullo sfondo. La stessa struttura si ritrova in Fiumana (1895-1898), dove tuttavia uno dei tre personaggi di testa è ora una donna con un bambino in braccio. Anche ne Il quarto stato, così come nel dipinto precedente, il trio di testa è composto da due uomini barbuti e una donna con bambino. Qui però le figure hanno lineamenti ben definiti e modellati sulle sembianze di persone realmente esistenti e conosciute dal pittore. In particolare, a fungere da modella per il personaggio femminile fu la bella e amatissima moglie del pittore stesso, Teresa Bidone, una contadina di Volpedo, che all’epoca in cui l’opera venne iniziata aveva appena ventitré anni.
Il trio in primo piano è quello che guida il resto del popolo. Tenuto conto che all’epoca le donne neppure avevano il diritto di voto, non era affatto scontato che uno dei tre leader fosse di sesso femminile. Che la donna non sia in prima fila per puro caso appare evidente, se consideriamo come si atteggia. Con una mano regge il bambino nudo, mentre con l’altra sembra incoraggiare la folla che sta dietro ad avanzare senza timore. Dalla sua persona emanano forza e decisione, non meno che dai due uomini barbuti, i quali però sono già in età matura, mentre lei è poco più che una ragazza.
La sua giovane età, tuttavia, lungi dal costituire un handicap, la porta anzi a essere più disinvolta rispetto ai suoi due compagni di marcia. Questi, per sentirsi autorevoli di fronte ai padroni, hanno infatti avvertito il bisogno di mettersi il vestito della festa, con tanto di giacca, cappello, pantaloni ben stirati e scarpe immacolate. La donna no. È sicura di sé anche con il suo look di tutti i giorni. La vediamo infatti raffigurata con indosso una lunga veste priva di orpelli, a capo scoperto e a piedi scalzi. D’altronde, per il pittore era questo il modo più naturale per rappresentare la sua protagonista femminile, avendo scelto come modella la moglie. Essendo costei una contadina e abitando in campagna, è facile immaginarla, nella sua quotidianità, vestita per l’appunto in modo semplice, senza particolari acconciature o copricapi, e scalza. E spesso doveva avere uno dei suoi figli in braccio. Insomma, Teresa Bidone doveva essere proprio come è stata dipinta.
Anche la circostanza che la donna regga un bimbo in braccio non è priva di significato. Le donne sono sempre state loro malgrado multitasking, anche quando essere multitasking non era trendy. E così, questa ragazza che lavora, e che ora si occupa anche di guidare alla vittoria gli altri lavoratori, deve pure curare il suo bambino. Non ha una babysitter cui affidarlo, deve pensarci lei. Ma anche questo non è un punto di debolezza, è un punto di forza. Abituata a far fronte alle esigenze della sua famiglia, sarà senz’altro molto concreta nella trattativa con i padroni, baderà certamente al sodo, con lei il movimento di popolo non correrà il rischio di velleitari voli pindarici. E il fatto che la ragazza sia ritratta a piedi nudi assume allora anche un valore simbolico, rappresentando il diretto contatto con la terra e dunque, metaforicamente, con la realtà.
Purtroppo, e qui sta la nota triste, questa donna di bell’aspetto, e che nel dipinto vediamo risplendere piena di energia, morì di parto nel dare alla luce il terzo figlio. Fu un grandissimo dolore per Pellizza da Volpedo, il quale non riuscì più a riprendersi, suicidandosi pochi mesi dopo la morte della moglie.
Ciò che probabilmente l’artista non immaginava era che, inserendola fra i protagonisti del suo quadro, avrebbe reso immortale la sua amata.
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