'Ogni tanto qualcuno mi chiede che mestiere faccio. Non ho ancora trovato una risposta.

La verità è che una risposta non esiste.

Io non faccio qualcosa. Io sono qualcosa.

Io sono il volto invisibile del potere.

Io sono il capo di gabinetto.

So, vedo, dispongo, risolvo, accelero e freno, imbroglio e sbroglio. Frequento la penombra. Della politica, delle istituzioni e di tutti i pianeti orbitanti. Industria, finanza, Chiesa.

Non esterno su Twitter, non pontifico sui giornali, non battibecco nei talk show. Compaio poche volte e sempre dove non ci sono occhi indiscreti. Non mi conosce nessuno, a parte chi mi riconosce. Dal presidente della Repubblica, che mi riceve riservatamente, all'usciere del ministero, che ogni mattina mi saluta con un deferente “Buongiorno, signor capo di gabinetto”.

Signore. Che nella Roma dei dotto' è il massimo della formalità e dell'ossequio. La misura della distinzione.

Noi capi di gabinetto non siamo una classe. Siamo un clero. Una cinquantina di persone che tengono in piedi l'Italia, muovendone i fili dietro le quinte.

I politici passano, noi restiamo. Siamo la continuità, lo scheletro sottile e resiliente di uno Stato fragile, flaccido, storpio fin dalla nascita. Chierici di un sapere iniziatico che non è solo dottrina, ma soprattutto prassi. Che non s'insegna alla Bocconi né a Harvard. Che non si codifica nei manuali. Che si trasmette come un flusso osmotico nei nostri santuari: Tar, Consiglio di Stato, Corte dei conti, Avvocatura dello Stato. Da dove andiamo e veniamo, facendo la spola con i ministeri. Perché capi di gabinetto un po' si nasce e un po' si diventa.

La legittimazione del nostro potere non sono il sangue, i voti, i ricatti, il servilismo. É l'autorevolezza. Che ci rende detestati, ma anche indispensabili. Noi non siamo rottamabili. Chi ha provato a fare a meno di noi è durato poco. E s'è fatto male.

Piccoli, velleitari, patetici leader politici. Credono che la storia cominci con loro.

Io invece ero qui prima che nascessero.

Io sono qui dai tempi di Crispi.'


(dal 'Prologo')



'...non ci sono poteri buoni' (Fabrizio De André, 'Nella mia ora di libertà')


Per molti anni avevo pensato che i 'poteri occulti', i 'poteri forti', fossero quelli che avevano tramato contro l'Italia (vedi la stagione del Terrorismo, gli anni '70).

Leggendo questo libro invece mi sono reso conto di un altro tipo di potere, non meno subdolo: quello dei capi di gabinetto.

Una figura centrale, che fa da tramite fra tutte quelle che si muovono fra i palazzi del Potere e i ministeri, assicurando il perfetto funzionamento di tutta la macchina legislativa dello Stato.

Uno di loro si racconta a Giuseppe Salvaggiulo, capo della redazione politica (ora non più, ndr/nota di recensore) del quotidiano 'La stampa', presentando il capo di gabinetto come l' 'uomo di fiducia' alle dipendenze del Presidente della Repubblica o di un ministro, con cui collabora fianco a fianco come tramite con la squadra di funzionari che lavora al ministero e vedendosi affidata la sua vita e quella della sua famiglia.

Se non lavora per un ministro, un capo di gabinetto si occupa di risolvere i problemi che nascono durante i cerimoniali, nelle occasioni ufficiali: una volta il narratore aveva chiamato il capo della polizia per fare ritardare l'arrivo di un capo di stato straniero in visita ufficiale a Palazzo Chigi, perché il Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi non era ancora presente e chiamato diverse volte al cellulare era risultato assente.

A mano a mano che si scopre la vita di un capo di gabinetto, della politica vista dentro i palazzi del Potere e della stessa negli ultimi 30 anni, ci si imbatte in un fatto che avrebbe del clamoroso se non avessimo saputo qualche tempo fa, al programma satirico e di inchiesta 'Le iene', su Italia Uno, degli assistenti dei ministri che lavoravano in nero al Parlamento: la modifica di alcuni punti di una Legge Finanziaria pochi giorni prima del giorno dell'approvazione, stabilito dalla Legge, senza seguire le norme.

(La violazione delle leggi da chi le rappresenta).

'Noi non siamo rottamabili. Chi ha provato a fare a meno di noi [...] s'è fatto male': il senso della seconda frase ritorna nel carattere di 'insostituibili' dei capi di gabinetto, perché chi ha provato a sostituirli si è trovato in difficoltà (il caso dell'ex sindaco di Roma Virginia Raggi, quando era in carica, con il suo staff).

Ma non solo un lavoro, bensì una condizione di vita: la sua presenza negli eventi istituzionali per accaparrarsi favori e farne, e in eventi mondani, luoghi di cultura e circoli scelti per incontrare persone (importanti, ndr) per cui lavorare quando il suo incarico sarà finito.

Un capitolo è dedicato a Gianni Letta, conosciuto come il sottosegretario del partito di Berlusconi “Forza Italia”/ndr, della sua capacità di stare dietro le quinte del Potere e del suo modo di manovrare persone e situazioni.

Un libro che consiglio vivamente a chi ama i romanzi e le storie 'torbidi' sui giochi del Potere, ma anche per capire le continue 'disfunzioni' della Politica nei luoghi che la rappresentano.

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