A distanza di tre anni da La migliore offerta, Tornatore scrive e dirige La corrispondenza, un film che purtroppo si può riassumere brevemente: un uomo muore ma continua a rompere i coglioni. E non si tratta di freddo cinismo nei confronti di un sentimento così delicato come l'amore, ma di una considerazione che si fa carico degli innumerevoli punti deboli della sceneggiatura e della regia al contempo.
La corrispondenza è la storia d'amore tra una studentessa, Amy, ed un sessantenne professore astrofisico, fatta di incontri segreti e di una fittissima corrispondenza virtuale. Durante un convegno che il professore avrebbe dovuto tenere in università, e al quale la protagonista (Olga Kurylenko) si presenta, viene annunciato il recente decesso del professore (Jeremy Irons), ma nonostante questo Amy continua a ricevere inspiegabilmente messaggi, email e pacchi postali dal professore.
Il primo ostacolo a cui il film pare arrendersi è la cosidetta sospensione dell'incredulità, che generalmente il cinema ha il potere di creare nello spettatore. Per intenderci, quell'elemento per il quale non ti sorprendi se senti la voce di Paolo Villaggio raccontare i pensieri di un neonato in Senti chi parla.
In questo caso invece si avverte una costante e interminabile sensazione di dubbio, ben diversa dalla sensazione che poteva scaturire la precedente pellicola (per chi ha apprezzato La miglior offerta) grazie ad un'intrigante rete di suspance, sebbene per certi versi entrambi i film siano legati da una sorta di inverosimilità. Qui però sfocia nell'assurdo: se inizialmente ci si aspetta una chiave di lettura che funga da guizzo per salvare il salvabile, con lo scorrere dei minuti i contenuti vanno svanendo e ciò che rimane è solo qualche bella immagine della Scozia e del belpaese. Tant'è vero che superati i sessanta minuti, ci si chiede che cosa possa accadere di nuovo nella seconda parte, e in effetti poco accade.
Non basta quindi la romantica metafora astronomica della luce di una stella che brilla tanto quanto l'amore post-morte del professore a giustificare la presenza che egli vuole garantire al fianco della sua amata anche dopo che la malattia l'ha portato via con sè, e non basta nemmeno la caratterizzazione di una Amy profondamente segnata dal senso di colpa per la morte del padre; non basta e non convince: si fa realmente fatica ad immaginare che questa idea di stalkeraggio post-morte possa rendere felice una donna; fa realmente storcere il naso la semplicità con cui il professore avrebbe istruito degli adepti, ogniuno dei quali con un compito ben definito, per portare a termine la propria missione; fa strano il modo in cui Amy venga accolta come la regina incontrastata del mondo da ogniuno di loro, mostrando atteggiamenti che portati in scena con un pizzico di realismo in più potevano forse emozionare, ma così posti risultano piuttosto stucchevoli ed imbarazzanti.
Giudizio abbastanza neutro anche per le interpretazioni, quella maschile sicuramente penalizzata dall'ormai inflazionata voce di Luca Ward, che nella versione italiana è ovviamente obbligata ad accompagnare ogni singola parola scritta, e trattandosi di una corrispondenza perlopiù virtuale, la presenza di questi interventi è massiccia e quindi forse un po' troppo pesante.
Dal film è anche stato tratto (o forse il contrario, da Internet non si capisce ma la prefazione lascia intuire che sia la prima ipotesi) un omonimo romanzo sempre a cura di Tornatore: è bene fare questa precisazione per introdurre una nota inserita nella sceneggiatura, nella quale il medico del professore, mostrato come l'unico cinico anaffettivo elemento che si è sottratto al suo romantico piano, paragona l'idea del protagonista ad una "storiella buona per un romanzo di fantascienza da quattro soldi", quasi a voler sottolineare che chi non ne coglie il candido aspetto sia appunto una cinica ed anaffettiva mosca bianca. Non ne sono convinto, poiché io stesso posso essere convinto che l'amore sia il grande motore che muove il mondo, ma qui viene mostrato un elegantissimo motore e basta, che senza tutto il resto è incapace di muovere, trasportare e dunque emozionare.
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