Poche parole mondate da ogni virtuosismo.

Voce del verbo rifiutare:

l'eleganza formale,

i contorni rifiniti,

le assonanze o le dissonanze musicali,

persino la punteggiatura.

Cosa resta?

Poesie secche, essenziali, affilate.

Come pallottole che colpiscono un punto ben preciso e da lì si riverberano in tutto il corpo.

Frammenti di un cuore cresciuto in Egitto e poi temprato nella guerra di trincea.

Poche parole figlie dello sterminato silenzio del deserto.

Poche parole che si abbattono improvvisamente come granate.

E scritte con il lapis:

tra gli spazi bianchi di lettere ricevute,

nei margini di vecchi giornali,

in foglietti infilati alla rinfusa nel tascapane.

Ungaretti ermetico? Ungaretti "uomo di pena" piuttosto,

a cui "basta un'illusione per farsi coraggio".

Con la faccia rivolta alle stelle oppure schiacciata nel fango.

Dobbiamo rassegnarci: il mistero è in noi.

Il mistero è in noi e tanta parte resterà irraggiungibile.

A noi che lo custodiamo, ma che non sappiamo decifrarlo.

Come una mappa del tesoro a cui manchi la X.

Come un porto sepolto perso per sempre nell'accavallarsi dei millenni.

Cosa resta allora?

Poche parole.

Solo

poche

parole.

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