Fossimo in un paese civile, dischi così sarebbero vietati dalla legge. Messi al bando, fossimo in uno di quei posti dove se non rispetti la fila alla fermata dell'autobus ti guardano come nemmeno avessi la peste. Aida. Ah, già le opere, quella musica che non si capiscono le parole e le donne hanno sempre vestiti che scoprono le tette. Aida. Nei piani di Peppino l'ultima sua cosa. I piani li dovrà cambiare, ma questa è un'altra storia. L'ultima musica, l'ultimo discorso. Che a parole non si fa. Aida, in un paese civile, si sarebbe intitolata Amneris. Figlia del faraone. E innamorata. Che nell'ultimo atto implora la vita di Radames. Che ama un'altra. Ma lei fa di tutto. Comunque. Prova con la ragione, con i discorsi, con il sangue, con il ceto, con le minacce. Prova strappandoti il cuore.
Ma non c'è niente da fare.
Le toccherà assistere alla sua fine, impotente e disperata. Ascoltare i sacerdoti. L'amore, persino l'amore di Alfredo le è tolto. (Ah, no, questa è un'altra opera. Ah, sì, forse).
Maria che canta Amneris è una di quelle cose che la lirica non ti dà. Maria - Amneris ricorderesti l'ultimo atto come una delle cose più belle che hai mai sentito. Nel jazz ogni cosa che puoi pensare c'è. E anche di più. Nella lirica no. Puoi solo immaginarla.
In un paese civile, una certa marcia, che tutti conoscete, nel secondo atto, sarebbe l'inno nazionale, con tanti cari saluti alla marsigliese, a the land of the freedom, the home for the brave, e anche agli scemi che propongono Va' pensiero. Vedete se c'è qualcosa di più gasante. Qualche musica di cui poter essere più orgogliosi.
In un paese civile quest'opera si chiamerebbe Radames, che ama e combatte, e muore. Per amore. E vince, in qualche modo, perché non muore da solo. Perché nella tomba arriva il suo amore. Certo, è un tenore. Prima che capisca le cose ci vuole un po'. Ma poi le capisce. E va fino in fondo.
In questo paese qua, invece, quest'opera si chiama Aida. E si chiama così perché lo ha deciso Peppino. Perché doveva essere la sua ultima cosa. Aida è una schiava, ed era una regina. E ama. E che cos'è adesso, a parte l'amore, non lo sa. Le diranno non sei una schiava, non sei un'ancella, sei un'amica. Ma chi glielo dice è sua rivale. Le diranno non sei mia figlia, sei la schiava dei faraoni. Le diranno di tutto. Lei sa solo che ama. Che non rivedrà più la sua terra. Che chi è non lo sa più. Che è lì. Che non può fare altro che perdere. Comunque vadano le cose. Peppino, la sua ultima musica, non la scrive per un'eroina. Nemmeno per un'eroina bella e tragica come Amneris, come Violetta. No, la scrive per una donna semplicemente persa. Umanissima, verrebbe da dire. Piena di nostalgia, piena di amore. Conscia di perdere. E nemmeno orgogliosa di ciò. Qualche anno dopo, Desdemona, e non glielo perdonerò mai, pochi minuti prima di morire, partirà con un'Ave Maria meravigliosa. E la prima cosa che dirà è prega per chi sotto l'oltraggio piega la fronte, sotto la malvagia sorte. Aida ha piegato la fronte. Peppino, quella che nei piani era la sua ultima musica, la intitola a lei. Che piega la fronte, sotto la malvagia sorte. Tutto qua. E certo non stupirà che nel leitmotiv di Aida c'è un oboe. Come per Violetta. Ma Aida non avrà mai la forza di Violetta. Aida ha piegato la fronte. Finisce, con il suo amore. Non per eroismo. Ma perché non sa chi è. Se non che ama Radames. Solo questo. Mica nient'altro. Boh, forse è proprio per questo che il Peppino gliela dedica a lei, quest'opera. E non ad Amneris, o a Radames, o nemmeno al canale di Suez, come faceva finta. Ad Aida, che non sa chi è, sa solo che ama.
Beh, un'opera così, se ti tocca di cantarla, ti ci accosti rispettosamente. In un paese civile. Nel 1950 o giù di lì, in Messico, Maria è Aida, Radames è il RE. Eh, come dire. Alla fine del secondo atto, quello della marcia trionfale, Peppino non lo ha scritto, ma c'è un mi bemolle, e qualcuna lo fa. E glielo chiedono a Maria, se vuole farlo. Lei risponde io lo faccio, ma voi in cambio mi date un contratto per un anno. Rispondono di no. Poi - cominciano le prove - il direttore sta un po' sulle balle a tutti. Succede. E allora si mettono d'accordo, i cantanti. E lei, quel mi bemolle, senza dirlo al direttore, lo spara (minuto 4:51). Te lo spara sulla faccia, direbbe qualcuno. Quando lo sento, ogni volta che lo sento, quel mi bemolle lì, mi giro, verso la fonte del suono, e dico minchia. Io minchia non lo dico mai. Solo che poi lì, sul palco, c'è anche il RE. E lo sente quel mi bemolle. E nell'atto seguente, Peppino non lo ha mica scritto, ma solo perché era distratto, gli spara lui sulla faccia un simpatico acuto. Che quando lo senti, quell'acuto lì, ti giri verso la fonte del suono, e dici minchia. Io, minchia, non lo dico mai. E nemmeno so bene cosa sia un mi bemolle. So che al di là delle prove di forza, e a distanza di ben più di cinquant'anni da quando l'hanno cantato, a ben più di cento da quando l'hanno scritta, io questa roba qua non riesco a smettere di ascoltarla. E di sentire i brividi, ogni volta che la sento.
Ecco, in un paese civile dischi come questo sarebbero vietati dalla legge. Ti fanno venire strane idee, certo pericolose, certo poco corrette. Come di essere orgoglioso. In un modo certo non prevaricante, no. In un modo che solo il Peppino. Che solo Maria. Che solo il RE.
In questo paese qua, io mi giro, e rischiaccio il tasto play. Sì. Ancora per un po'. E a dire il vero non me ne importa molto di essere orgoglioso. Mi importa solo di sentire quanto amore c'è qua dentro. Sia merito di Peppino, di Maria, del RE mica lo so.
E a rimanere senza parole.
In un paese civile sarebbe vietato dalla legge.
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