Alle volte, il problema è la data di nascita.
Succede anche a Carlo, protagonista qui. Infante di Spagna, in un momento in cui la Spagna domina il mondo (o quello che allora si ritiene essere il mondo), da piccolo ha conosciuto una ragazza, di quella ragazza si è innamorato.
Il problema è suo padre. Che diventa Re di Spagna. E che - da bravo potente - si cerca la ragazzina. E la sposa. Così Carlo si trova a desiderare quella che tecnicamente è sua madre (o genitore 2, o come si voglia dire). Mica troppo bello. Anche perché il padre è piuttosto stronzetto, la maltratta pure, è pure spietato come re, se ne frega dei fiamminghi che si lamentano e li manda a morte.
Carlo è il tipico tenore di Peppino. Di quelli che sono pieni di ormoni, e di coraggio, e di dichiarazioni tronfie. Ma che poi non sanno mai bene cosa fare. E nemmeno si accorgono bene di ciò che gli capita intorno. Tra tutti il mio preferito è il successivo Radames. Io lo trovo meraviglioso. Appena inizia Aida ci canta il suo piano. Gli etiopi sono in guerra, lui innamorato di Aida, dice: comando l'esercito, torno, trionfo e chiedo in sposa la mia amata. Però le cose non vanno così. Vince e trionfa. Ma Aida niente. Non si può. Beh, quando gli etiopi si riorganizzano, e cercano di attaccare di nuovo l'Egitto (è il terzo atto) Radames è tutto felice. Dice nuova guerra nuovo premio! E io lo adoro, sinceramente (chiusa parentesi!).
Carlo vorrebbe andare nelle Fiandre. Lontano dal padre. E anche - forse - da questa matrigna che ama riamato. Ma non si può. A complicare le cose ci si mettono poi un meraviglioso personaggio (Rodrigo, baritono ovviamente) che è suo amico fraterno, e che lo dimostrerà fino alla morte e una farfallona principessa, segretamente (ma non troppo) innamorata di Carlo.
Alle volte il problema è capire dove stare. Carlo vorrebbe le Fiandre. E anche Rodrigo lo vorrebbe. Ma non c'è modo. Il padre non vuole sentire ragioni. E il padre lo sa che tra Carlo ed Elisabetta... Beh, insomma, sia come sia, le cose vanno male. Tanto che arriva pure la Santa Inquisizione, nei panni di un vecchio cieco che probabilmente si chiama Jorge (anche se non ce lo dicono) e che è assetato di sangue, di quello di Carlo in particolare. Non ci riuscirà, ma solo perché Rodrigo lo impedirà pagando con la vita. Poi la principessa farfallona si lamenta della sua bellezza e se ne va in convento, Carlo ed Elisabetta cantano (quasi) l'ultima aria di Aida (si schiude il ciel) e appare pure il Convitato di Pietra, nei panni del defunto Carlo V.
Don Carlo, senza la esse, è l'ultima opera di cui Peppino non pensa che sia l'ultima. E' un'opera molto conosciuta, ma non amatissima dal grande pubblico. Il motivo fondamentale è che non ha le arie. Carlo, per dire, il protagonista, ne ha solo una. All'inizio. E pure breve. E gli altri niente. Il resto è tutto un insieme. Duetti e terzetti meravigliosi. Il motivo è presto detto. Sapete quel tipo crucco? Ecco, quello là che diceva male dell'opera italiana, dei tenori che cantano i loro guai d'amore a tutta voce? Ecco, era arrivato. E Peppino volle mostrargli che mica ne aveva bisogno, delle arie. E quanto ai leitmotif? Che tutti a dire li ha inventati lui? Seee vabbé, lasciamo stare. Qui ci sono. Quello dell'amicizia, in particolare, sono sicuro l'abbiate sentito, e che sappiate riconoscerlo. E' un'opera parecchio travagliata, Don Carlo. La scrive in cinque atti (Don CarloS), poi è troppo lunga, la taglia, (togliendo la S) poi la taglia ancora.
Alle volte il problema è capire dove stare.
Il sette di dicembre del 1977 è un mercoledì. Fuori dal Teatro l'aria è tesissima. Gente che tira uova. Gente che grida abbasso la Norma vogliamo la Traviata. Gente che magari ha già una pistola in tasca. Gente che è lì e fa cose strane e nuove e uniche. Dentro al Teatro c'è Claudio Abbado che dirige. Una strepitosa Mirella Freni, Carreras su cui almeno per un paio di giorni mi tocca ritirare le cose cattive che ne ho sempre pensato, Ghiaurov che è una sicurezza. E Don CarloS o quasi. Cinque atti, ma in italiano, e pure recupero della versione originale o quasi.
Dentro al teatro l'aria è tesa. Lo si sente. Lo si sente dagli applausi scroscianti e tesi. Anche, forse, da qualche voce che senti, durante le pause. I soliti loggionisti. O magari qualcuno che è dentro. Qualcuno che fa sentire la voce. Non dei fiamminghi. Ma di quello che c'è fuori.
Alle volte il problema è la data di nascita.
Io, tra poco vado a vedere dov'ero. Di sicuro facevo la terza media. La musica lirica era, per poco, ancora lontana dai miei interessi. Sicuro ho guardato in tv le solite robe, chi c'è, chi non c'è, come sono vestiti. A mia mamma piaceva tantissimo. E anche a me, anche adesso.
In ogni caso, avvicinarti alla lirica, allora, mica ci pensava nessuno. Ci penserà - per molti versi - proprio Abbado, negli anni seguenti, facendo cose meravigliose. Ma allora no. Nessuno ti faceva ascoltare cose. Massimo le quattro stagioni di Vivaldi, causando allontanamento da tutto quel mondo per alcuni irreversibile.
Beh, sia come sia, sta di fatto che Abbado dirige un'edizione che secondo me è un capolavoro assoluto. Che Carreras lo senti e dici ogni volta quanto è bravo. Che Mirella Freni ti fa venire brividi ogni volta che apre bocca. E che tutta l'opera, che conosci, che la sai, ma insomma, non ha le arie, dici questa è davvero una meraviglia.
Boh, lo dicevo, alle volte il problema è capire dove vuoi stare.
E io, almeno per un po', non ho dubbi.
Lì. E allora.
Dove, chiederete? Dentro o fuori dal Teatro?
Entrambi. La Prima della Scala è così.
https://www.youtube.com/watch?v=afM6Gl7pL9k
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