Lacrime. Per davvero. E voglia di alzarmi, davanti alla tivù, una volta tanto accesa, e applaudire. Lo feci una volta. C'era il Pirata che scattava. E furono lacrime anche lì.
Prima di ogni cosa il finale. Gli applausi. Un coro, enorme, macchine di scena, effetti speciali, angeli, diavoli, un re tutto d'oro, con un mantello che richiama l'azzurro. Un padre, che tra poco diventerà Germont. La Francia, l'Inghilterra, le guerre, gli assedi, le cose. Tutto e solo falso. Tutto e solo per dire cosa c'è nella testa di una ragazza. Che in una delle ultime scene prende quella che chiama la sua bandiera. Ed è soltanto un lenzuolo.
Primo: Patty Smith, intervistata nel foyer. Ha una pettinatura da denuncia. Sembra un indiano. Sembra un uomo. Ed è bella.
Secondo: Pereira, che prima dello spettacolo sale sul palco. E un brivido che corre nella schiena. Invece no, è solo che avvisa. Il baritono titolare non può esserci. Lo sostituisce un ragazzo.
Terzo: scordarsi Jeanne Darc. La battaglia delle aringhe, il Bastardo d'Orleans, tutto quanto. Non c'entra un cazzo, a Peppino mica gliene fregava.
Quarto: va bene, il libretto di Temistocle Solera fu definito un'offesa al buon senso. Qui, un senso, IL SENSO, forse, lo trovano.
Quinto: inizio, sinfonia. Inizia drammatica, la sinfonia. Poi si placa. Ecco, in quel momento lì sale il sipario. È solo un quadretto, in bianco e nero. C'è Mimì che muore. O Violetta. Il padre, seduto di fianco che piange. Che sia Annina, o Musetta quella che accorre mica si sa. Rimani così. Il sipario scende di nuovo, la sinfonia torna drammatica. Era un prossimamente? Sai quelle cose, al cinema, di una volta? No. Era l'idea.
Sesto: va bene, in certi momenti ricorda un po' la Traviata di Salisburgo del 2005. Che allora la Netrebko era decisamente un bel vedere. Però ha un senso.
Settimo: va bene, il baritono che arriva sul palco, in sostituzione di quello malato, ha anche una bella voce. Però gli manca quella roba che un baritono verdiano deve avere: autorità. Deve avere che quando canta canta e te dici ha detto la cosa che deve dire.
Ottavo: cosa dire di quel valzerino? Ci sono dei diavoletti, abbastanza spaventevoli, che entrano in scena, e le cantano sei bella, sei giovane. Con un valzerino. Carino e fischiettabile. Il che fece parecchio arrabbiare i contemporanei. Ma come, dai, un valzer? Un valzer, che Peppino poi riprenderà. Lo rallenterà. E diventerà il leit motiv di Traviata.
Nono: l'ombra del padre. Non avrà la voce, ma ci pensa la scenografia. Un'ombra, enorme, che domina la scena.
Decimo: i mobili. Una sedia, una poltrona, un letto. Li vedi nella prima scena, Giovanna è a letto, è una stanza ottocentesca. È quella di Mimì che muore, o di Violetta. L'inizio della storia. Ma quei mobili lì rimangono sempre in scena. E si ribaltano anche. E rimangono ribaltati. Fino alla fine. Qualunque sia la scena, che parlino di una battaglia, di un'incoronazione, di qualunque cosa.
Undicesimo: la notizia che Giovanna torna in battaglia. Meraviglia assoluta. Il padre, che l'ha tradita, geloso di questo re tutto d'oro e debolissimo, ha capito. Lei gliel'ha detto, ho amato solo un attimo. E lui capisce. E allora lei torna in battaglia. Ma mica per davvero. Lei è sul letto, il padre la tiene per mano. E raccontano le gesta. E financo la sua morte. Che lei, Giovanna, li guarda. Guarda suo padre. Guarda questo re, tutto d'oro, e debolissimo. Che senza di lei non è niente. Guarda questo padre, che si dispera per non aver capito.
Dodicesimo: Anna Netrebko. Che certo era mille volte più bella dieci anni fa. Ma che canta come non mai. Ed è la seconda volta che mi fa innamorare. Alla terza la sposo.
Tredicesimo: la regia. Che osa, e trova un modo. Di spiegarti una storia. Di un giovane ragazzo, della Bassa Padana, che cominciava a capire quanto mistero, e potenza, e vita, ci fosse dentro il corpo di una donna. E allora prende una storia, che è Storia, e la cambia, e la trasforma. Non è vero niente, non le battaglie, non le incoronazioni, non questo re tutto d'oro, nemmeno il rogo. È vero solo che c'è una ragazza. Che cosa abbia dentro non si sa. Non si riesce a saperlo. Immaginarlo sì. Accostarcisi, cercare di capire, rimanere abbagliati. Con pazienza, attenzione, rispetto. E amore, anche, per una Giovanna che le manca poco per essere Violetta. È tutto qui. Ed è da lacrime. Sì.
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