Messo lì così, tra Rigoletto e la Traviata, il Trovatore sembra proprio un tassello fuori posto. Effettivamente lo è, ma è proprio il concetto di "trilogia popolare", tanto per capirci, rigolettotrovatoretraviata raggruppati insieme come un'unica fase nel percorso artistico di Verdi, ad essere una forzatura critica dovuta più che altro all'enorme successo ottenuto da queste tre opere; già tra Rigoletto e Traviata le affinità risultano piuttosto labili e generiche, ma si può dire che entrambe introducono elementi innovativi, soprattutto a livello tematico, nello stile verdiano, Il Trovatore di innovativo, fondamentalmente, ha poco o nulla. Non è parte integrante di un nuovo corso ma un punto di arrivo, l'ultimo, sublime capolavoro del cosiddetto primo Verdi, quello di Nabucco, Ernani, Attila e Macbeth, il Verdi più romantico, più belcantistico, quello che nell'enfasi emotiva di arie come quelle di Leonora, immancabilmente coronate da voluttuose cabalette, toccava i suoi vertici più alti, che con cori come "Vedi le fosche notturne spoglie" catturava così efficacemente la sensibilità popolare. Dopo il Trovatore questo Verdi andrà gradualmente sparendo e, prima ancora che per ovvi motivi di evoluzione, dopo un canto del cigno così non poteva proprio essere altrimenti.

Adoro il Trovatore per gli stessi motivi per cui adoro Macbeth, pur con tutte le differenze del caso fondamentalmente lo stile e la potenza drammatica sempre quelli rimangono, e non solo: quella struttura narrativa, con la vicenda corrente e l'antefatto (tutta la prima scena, Tacea la notte placida, Stride la vampa, condotta ell'era in ceppi) che arrivano simultaneamente a chiudersi nel finale drammatico mi riporta direttamente ad un altro mio personale totem, il Guglielmo Ratcliff di Mascagni. Fatto sta che è tutto un continuo susseguirsi di brividi, brividi e poi ancora brividi, qui Verdi era veramente incendiato di isprirazione, e non solo nelle sue classiche arie: basti pensare che al coro delle incudini fà seguire immediatamente "Stride la vampa", accostamento che enfatizza al massimo il contrasto tra lo spirito coeso e solidale della comunità e il dolore straziante del singolo, creando un effetto drammatico di impareggiabile efficacia e sinteticità. Ma è tutta quella scena, dominata da Azucena, IL ruolo da mezzosoprano drammatico per eccellenza, a brillare per immediato pathos e tragicità, fino alla catartica, memorabile chiusura "Sul capo mio le chiome sento drizzarsi ancor, drizzarsi ancor..."

Ma non tutto Il Trovatore è così, anzi, il suo particolare fascino sta anche nel fatto che, pur essendo una vicenda a tinte fosche, con personaggi tratteggiati in maniera nettissima, elargisce a piene mani pagine di ineffabile, inebriante e lirismo, carico di tensione spirituale, teso verso l'alto, alla ricerca di un'irrealizzabile ideale di felicità e beatitudine. Letteralmente, non si contano i momenti in cui sembra di toccare il cielo; "L'onda dei suoni mistici", quel duetto d'amore che dura esattamente un minuto, unico barlume di autentica estasi concessa a Manrico e Leonora dall'inesorabile scorrere degli eventi, lo stuggente gioco di contrasti di "Miserere d'un alma". Più in generale, sono così tutti i momenti solisti, "Tacea la notte placida", "Deserto sulla terra" , "Ah si, ben mio", "D'amor sull'ali rosee", perfino quelli del Conte di Luna, "Tace la notte" e "Il balen del suo sorriso". Ogni momento in cui i personaggi interagiscono tra loro, ogni duetto, ogni coro, è invece acceso di passione, di un dinamismo elettrico e spesso bellicoso; la narrazione che apre l'opera con un sontuoso duetto coro-basso solista, la scena del duello, il confronto tra Leonora e il Conte, la tragica resa dei conti finale.

In ultima analisi, Il Trovatore è fondamentalmente un epico dramma di cappa e spada, onesto, non intorbidito da intrighi e sotterfugi; Leonora è veramente tutta racchiusa in quel "S'io non vivrò per esso, per esso morirò", Manrico nella sua duplice natura di artista e guerriero, Azucena in quella vampa che per lei non smette mai di stridere, il Conte nell'amarezza di un amore non ricambiato. Eppure qui non c'è nulla di scontato, di manieristico, ogni singolo istante di musica prende vita con quel particolare lirismo drammatico maestoso ma asciutto, mai autoindulgente, che solo il miglior Verdi sapeva dare. Il miglior Verdi che dalla sua aveva, ovviamente, anche un'immediatezza di scrittura melodica tale da poter raggiungere facilmente un pubblico vastissimo; anche per questo il Trovatore è una di quelle opere che chiunque dovrebbe conoscere perchè è una di quelle opere di una bellezza talmente universale da trascendere qualsiasi barriera di genere e di moda; retorico, sicuramente, ma vero.

Carico i commenti...  con calma