Questa sera, alla Scala, prima di Simon Boccanegra.
Così - ho pensato - vorrete mica arrivarci impreparati?

Di Boccanegra, il Mago, diceva che è un'opera a cui voleva bene. Come si vuole bene a un figlio che ti nasce storpio.
Io, Boccanegra, la adoro. Dalla prima volta che l'ho sentita. Che pure ci sarebbe da parlarne. E se ho tempo, se mi viene, lo farò.


Certo, è un pochino incasinata. Di fatto il Mago (notate che non lo chiamo più Peppino? Beh, ho studiato, e scoperto che nemmeno la moglie (la Peppina, al secolo Giuseppina Strepponi) lo chiamava così. Lo chiamava o Verdi (di solito quando tua moglie ti chiama per cognome lo fa per prenderti in giro) o Maestro (ma perché ancora non conosceva Riccardo Muti (che a proposito stasera fa a Torino un ballo in maschera, che ci sarebbe da parlarne) oppure il Mago) il libretto l'ha rifatto un po' di volte. Ad anni di distanza. E l'ultima volta, e ne parleremo, ci ha messo le mani pure lo scapigliato... Ora, non so voi, ma a me, quando metto le mani su una cosa fatta tempo fa, mi viene la fatica. E non mi ricordo più niente. E dico: ma perché hai fatto quella roba lì? Insomma, mi viene un po' il nervoso. Di solito, se lo devo fare, se devo ritornare su una cosa fatta tempo fa, mi aiuta la musica. Mi sforzo di ricordarmi che musica sentivo mentre la facevo. La metto e le cose migliorano. Che sono strano non credo ve lo debba dire.


Sono strano. E divago. Il libretto, dicevo, è piuttosto incasinato. Si vede che ci ha messo su le mani più volte, ogni volta con un'idea diversa. E alla fine è tutto davvero un po' confuso.

Sì, verissimo. Pazienza. Io Boccanegra la adoro. E se la adoro è - più di ogni altra cosa - per merito del protagonista.


Simone Boccanegra (il corsaro all'alto scranno).


Per capirlo, però, bisogna aprire un'altra piccola parentesi. Bisogna dire due parole sul padre Verdiano. Sì, perché in quasi ogni opera del Mago c'è un padre. E questo padre, che è sempre un baritono, è molto semplice da spiegare. Basta un ascolto. Prendete Traviata. E andate al secondo atto, a quella cosa meravigliosa che è il duetto tra Germont (il padre) e Violetta. E' un duetto meraviglioso, che dura quasi tutto un atto, ed è una delle cose per cui vale la pena vivere. Di più. Se la scuola, in Italia, facesse quello che deve, sarebbe da far studiare, con la sinossi, come si fa con le poesie.
Bene, in questo duetto Germont va da Violetta, che fa la escort e si è messa con suo figlio Alfredo. Va mica bene. La faccio breve, non vi faccio perdere tempo. Per farla breve basta dirla come la dice il Mago:


Violetta: Volete che per sempre a lui rinunci?
Germont: E' d'uopo.


Ecco, è davvero così. Molto semplice. Il padre, nelle opere di Verdi, dice è d'uopo. Senza nemmeno un punto esclamativo, niente. Si deve. Ci voleva niente a fargli cantare sì. Ci voleva niente a fargli cantare grazie. No, il padre verdiano dice è d'uopo. Senza accenti, senza acuti. Si deve.


Se cercate, se siete un pochino curiosi, un padre così, nelle opere del Mago, lo trovate quasi sempre. Parafrasando Bernard Shaw nelle opere del Mago c'è sempre un tenore, che è magari bello ma sicuro un po' scemo, una soprano che è bellissima e travagliata, un padre baritono che si oppone alla legittima scelta del tenore di trombarsi la soprana. Se poi vogliamo esagerare ci si mette un basso che è cattivissimo,e una mezzosoprana, che è cattiva ma, di fondo, alla fine ci piace lo stesso...


E' anche facile immaginare che il Nostro, da giovine, si immedesimasse un pochino nel tenore.


Poi, però gli anni passano. Non hai più l'età per fare il tenore. E magari sei anche un pochino meno scemo. Meno appassionato, magari, ma un pochino meno scemo.


Ecco, Boccanegra è l'opera di due prime volte. E' la prima (e unica) volta in cui facciamo il tifo per un padre. Baritono, ovviamente. E' la prima (e unica) volta in cui facciamo il tifo per un potente.


Sì, perché il nostro eroe, Simone, ha fatto il corsaro. Siamo a Genova, e Simone ha passato la vita a combattere. Mille avventure, mille casini, mille guerre. Adesso ha un'età. Il corsaro non lo fa più. E, della vita, della sua vita, è anche abbastanza contento. O comunque sia non ha grossi rimpianti. Se non uno. Una figlia. Con una donna che ha amato e che è morta. E la figlia non si sa più dove sia. Ecco, vorrebbe rivederla, solo questo. Sapere come sta.


Siamo a Genova, dicevamo. E Genova è davvero un casino. Lotte politiche, gente che si ammazza per strada, faide famigliari. I patrizi e i plebei che non vedono l'ora di incrociare le spade. Beh, in questo casino, un tizio, si chiama Paolo ed è un basso (ricordatevi!) amico di Simone, ha un'idea. Mettiamo il corsaro sull'alto scranno. Cioè facciamolo diventare Doge di Genova (stavo per scrivere di Venezia, che l'associazione è facile, ma no, di Genova. Sì, ce l'avevano anche loro). Nei bellissimi cori del primo atto Paolo ottiene il sì di Simone e poi convince la gente. Sì, lo voteranno. Simone ad una voce.


Simone vince. E come fa il Doge? Beh, non ci sono santi. Non dimenticarlo, in quegli anni il Mago sta entrando in politica. Entrerà alla camera, e lo faranno poi senatore a vita. Su queste cose ci sta ragionando. Simone fa il capo in un modo meraviglioso. Lo si dice in una sola parola. Non ha paura. Ma non è sbruffone, non è un kamikaze. No. E' uno che ha visto mille cose. Ha visto di peggio. Magari gli è pure capitato di fare il vicepreside in una scuola senza nome. Per cui, adesso, qualunque cosa accada, lui ha un modo, e un modo solo, di affrontarla. Di faccia. Senza paura. Se ce l'avete con me ditemelo. Niente sotterfugi, niente inganni. Niente paure.
Genova, però, è davvero un casino. E' l'opposto del mondo che Simone ha visto per tutti i suoi anni sul mare. Ascoltatelo, Simone, perché nel corso dell'opera più volte (anche in punto di morte) dirà: il mare... il mare... Quella vita lì. Dove se uno ce l'aveva con te si tirava fuori la spada, senza troppi fronzoli. E poi, magari, tirata fuori la spada, ci si parlava e ci si capiva. E tutto finiva lì. Qui è il contrario. Chi ti applaude di solito te la fa alle spalle. Tutti tramano. In segreto. Non si capisce niente. E lui no, continua a modo suo. A dire e a farsi dire le cose in faccia. Senza paura.


Per farla breve a un certo punto abbiamo pure una agnitio. Siamo nell'Ottocento, piace moltissimo. Simone ritrova la figlia. Però decidono di non dirlo a nessuno. La figlia ha una tresca col tenore (giovane, bello e scemo, Gabriele). Il quale vede bene di scambiare le attenzioni di Simone con quelle di un pedofilo. La figlia la rapiscono. Ma riescono a liberarla. Uccidono lo scagnozzo che l'ha rapita, il quale fa in tempo solo a dire che è stato un uomo potente a ordinare il rapimento.
Così, nella Sala del Consiglio è il delirio.


Fuori c'è la plebe che urla. Sono armati. Incazzati neri. I patrizi, che sono dentro, vogliono che li si disperda. Violentemente.
Dentro c'è chi sussurra che Simone ha fatto rapire Amelia per motivi sconvenienti. Gabriele (il tenore) vuole ammazzarlo.
E Simone? Simone è lì. Sull'alto scranno. E dice: aprite le porte del palazzo. Fateli entrare. E ci capiamo. Ma nel frattempo Gabriele tira fuori la spada. Vuole la pelle di Simone. Le guardie gli tolgono la spada. Simone dice ridategliela. E fatelo parlare. Beh, i plebei entrano. E' un casino. E' il momento di parlare. Simone abbassa la voce. Così ottiene attenzione. E canta.
Canta una delle arie più belle mai scritte. Si chiama Plebe, patrizi, popolo. Io non so se l'avete mai sentita. Ma, credetemi, vale la pena. E varrebbe la pena anche di fare la sinossi, come a scuola, come con le poesie, con le note a pié di pagina.
Ora, però, urge aprire una parentesi. La prima volta che l'ho sentita, Simone Boccanegra e Plebe patrizi popolo, era l'esordio di Placido Domingo nelle vesti di baritono. Met di NY (che, a proposito, è un po' che non ci vado (sul sito, né), vorrei mai ci fosse un'opera di cui poi mi viene da scrivervi...). Bene, non so cosa ne pensiate di Domingo, che era tenore, poi baritono, poi direttore. A me fa simpatia, anche perché mi ricorda, quando ci penso, il mio ex-alunno Marras. Marras studiava da meccanico. Arriva in quinta, arriva l'esame di maturità, fa gli scritti, manca un giorno al colloquio. Viene nel mio ufficio, con aria tutta seria e mi dice: Simone (no, non mi chiamo Simone ma vabbé) io ho deciso. Il colloquio lo faccio con l'altra Commissione, che sono più simpatici della mia. E io: ma l'altra commissione sono elettronici, non sai niente (vabbé non ho detto niente) di elettronica. E lui: beh, ma nemmeno di meccanica! Ecco, Domingo mi è simpatico perché mi ricorda Marras. E la sua versione, mi è simpatica, ma non è certo la migliore che abbia mai sentito. La migliore, non ci sono dubbi, è quella di Tito Gobbi. Sul serio, una meraviglia della vita, dieci spanne sopra chiunque.
https://www.youtube.com/watch?v=zOQfz_uhnaU
E non ci sarebbe altro da dire, che Tito Gobbi è nel mio cuore penso lo sappiate. Peccato che il suo Rigoletto non mi sia piaciuto per niente. Pasiensa. Volete sapere chi è il miglior Rigoletto secondo me? Spiace, ma il margine della pagina è troppo stretto e posso scrivere solo le iniziali. DFD. Questa sera, a gridare pace, sarà Luca Salsi. Vedremo...
La voce di Simone calma tutti. Ma rimane ancora da capire chi sia stato. Simone lo intuisce e, al termine di questa scena bellissima, lo costringe a maledire chi è stato. E Paolo (è il basso, non l'avevate capito? E' sempre lui il colpevole) per tre volte, di fronte a tutta Genova, deve maledire sé stesso.
Sia come sia, gli animi sembrano essersi calmati. Sembrano, perché Paolo mica l'ha mandata giù. Paolo è un cattivo. E nella sua figura, che con i vari rifacimenti è diventata sempre più caratterizzata c'entra molto l'Arrigo di cui parlavamo sopra. Paolo ha deciso. Non affronterà Simone. No, lo avvelenerà lentamente. Senza che lui si accorga. E così accade. Simone, lentamente si spegne. Paolo però, prima che Simone muoia, viene arrestato. In scena rimane solo Simone. E' a terra, sta morendo. Flebilmente canta il mare... il mare...
Ecco, non lo so se vi è venuta voglia. Io la sto ascoltando nella versione Abbado, prima alla Scala 78. Cappuccilli, Freni, Carreras. Non sono ancora arrivato a vo' gridando pace. Ma i cori del primo atto sono favolosi...
https://www.youtube.com/watch?v=4-HbV_YnMYI
Ah, dimenticavo. La Rai non ce la manda. Nemmeno radiotre. Bisognerebbe iscriversi a la Scalatv. Però c'è scritto che tra un paio di giorni sarà disponibile on demand... Vedremo.
Ora, scusate, mi avete fatto divagare, ed è venuta lunghissima. Così, magari, qualcuno fa tardi e non riesce a prendere il treno per tornare a casa. E io, lavorare non se ne parla, devo scrivere ancora la seconda versione della rece su Don Carlo, che comincerà proprio così: non la faccio lunghissima, altrimenti perdete il treno...

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