Alla morte di Luigi Nono, nel 1990, Giya Kancheli (Tbilisi, 1935) continuò da solo il lavoro che avevano in progetto insieme e lo dedicò alla memoria all'amico scomparso.
Il maestro georgiano fa di un lamento per violino, soprano e orchestra un sublime cammino di purificazione. Una lunga preghiera, in bilico tra meditazione e violenti scoppi di realtà.

I primi pensieri sono ricordi: una frase semplice e intensa di violino, che va e viene.
Poi, le prime irruzioni dell'orchestra, che materializza bruscamente la presenza di Dio, o quella del mondo terreno. O forse tutte e due: è la poetica kancheliana degli estremi che si toccano, razionalità ed irrazionalità, semplicità ed enigma, intimità ed universalità.

Il continuo alternarsi di lunghi pianissimi e fortissimi vibranti è un tessuto trasparente e, al contempo, denso di significati. Quasi una summa dell'Amore, meravigliosa e inscindibile sintesi di agape che dona e di eros che s'impossessa.

Le liriche di Hans Sahl: "Quite slowly I am walking from the world / into a landscape farther off than far, / and what I was and am and shall remain / as patient, as unhurried walks with me / into a country never trodden yet. / Quite slowly I am walking out of time / into a future farther than any star / and what I was and am and ever shall be / as patient, as unhurried walks with me / as though I'd never been or hardly been. "

Durante l'ascolto il cammino è dolce: il violino e la voce eterea di Maacha Deubner mi accompagnano, lenti, impalpabili, e illuminanti. Ma il cuore batte forte in gola: quale forza mi urlerà nell'anima al prossimo passo? Cosa vedrò attraverso le onde impetuose dell'orchestra? Quali dolori, quali passioni, insopportabili e curativi? E dove arriverò, infine?

Giya Kancheli mette in arte non solo l'immediatezza di un'esperienza percettiva, ma anche il concetto per cui la più piena ragione riconosce che certe cose sono al di là della ragione.

Quando, dopo 41 minuti e 58 secondi, la musica muore, con quei lievissimi e ripetuti respiri che esalano dal violino di Gidon Kremer, muore anche la mia superbia, finisce la mia lussuria, finisce la mia avarizia, finisce la mia invidia.
Potessi ascoltare Lament per sempre, avrei il Cielo assicurato.

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